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Pensare a motore
Cesare Poppi
Kumasi è la seconda città del Ghana. Situata al centro del Paese è la sede dell’Asantehene, il Re di una vasta confederazione di stati e staterelli tradizionali che fu una spina nel fianco ai tempi della colonizzazione britannica. Oro, oro e oro: viene ancora estratto in abbondanza dalle profondità e ora anche in superficie, con risultati devastanti per l’ambiente e la salute degli abitanti.
Lungo la strada per il Nord, alla periferia della città, si trova la località nota in tutto il Ghana come Magazine – il Magazzino. Che non è una rivista a stampa come nell’inglese ufficiale, ma una sequenza ininterrotta lunga un paio di chilometri di rivendite di pezzi di ricambio per veicoli di ogni tipo: motori, sospensioni, scatole del cambio, pneumatici, carburatori… – oppure pezzi, semplicemente «pezzi», in purezza. Di cosa, come quando e perché lo sanno solo quelli che «quel pezzo» particolare cercano e trovano dopo ore e giorni di ricerca. S’intende: qualche principio d’ordine c’è – o meglio, tenta faticosamente di imporsi… Mercanti e mediatori dotati di memoria evidentemente sovrumana sono in grado di indirizzare più o meno vagamente gli esploratori/avventori verso laggiù dove ci sono i motori Volvo o mezzo chilometro indietro dove invece vendono pneumatici di seconda mano SAAB… Al momento trionfano cataste di ricambi giapponesi, Toyota in testa, ma vanno forte anche pezzi, frammenti e schegge dei tricicli tipo Vespa Piaggio: piramidi di ferramenta in via di ossidazione terminale. Fino ad una trentina d’anni fa c’era un settore del Magazine che ancora vendeva pezzi di ricambio FIAT: nella memoria del vostro Altropologo è ancora ben saldo il ricordo della carcassa di una Topolino issata come una bandiera in cima alla catasta come fosse il segnavento del campanile di casa.
Al Magazine ci passai una mezza giornata assieme al mio meccanico personale. Esploratori postmoderni che si aprivano il varco in una giungla di metallo irta di pericoli, eravamo alla ricerca di un carburatore per la mia Honda 650 Dominator. Dan, il mio meccanico, mentore e guida, aveva insistito che si andasse a cercarlo perché – sosteneva – valeva ancora la pena provare a rimettere in strada quel catorcio a due ruote che era ormai diventata la mia gloriosa compagna di avventure. Ricordo il caldo bestiale di quella stagione delle piogge: i ristagni d’acqua nei pezzi di ricambio favorivano il proliferare di una popolazione di zanzare inferocite… «Dan, non ce la faccio più… lasciamo perdere! Tanto ho deciso che la moto la lascio qui… Il piano era di tornare al Nord in moto ma così, senza carburatore, costa di più caricarla su un camion che venderla qua e tornare noi col camion». Avevo sudato anche le lacrime per piangere, ero alla fine: «E coi soldi che prendiamo compriamo una cassa di birra gelata, poi ci pensiamo». Dan mi aveva guardato con quei suoi occhi un po’ malinconici, poi provò a dire qualcosa. Era affetto da una forma di balbuzie estrema. Quando poi si emozionava riusciva solo ad emettere, nello sforzo, una sorta di sibilo intermittente, infine il volto gli si illuminava di un sorriso come per scusarsi… e io avevo già capito tutto. Dunque avevo appena alzato la mano per comunicargli – appunto – che avevo compreso tutto (cosa di preciso non so, ma capivo che non fosse d’accordo con la mia vigliacca rinuncia) e risparmiare a lui lo sforzo e a me l’imbarazzo, quando se ne uscì con un versaccio trionfale mentre puntava un grumo di ruggine là, laggiù sotto la pila di ferramenta c’era il Carburatore Honda Dominator.
Dan pensava a motore. Nel senso che aveva fatto missione della sua vita riparare i motori così come un chirurgo decide di sacrificare la sua per la vita dei pazienti. Conservava quei quattro attrezzi consunti da anni di usura che era riuscito a rimediare, chissà come e dove, in un vecchio fradicio e puzzolente otre di pelle di capra. Ne emergeva – ricordo – un gigantesco martello autocostruito, modello «fabbro del villaggio», che chiamava in servizio più spesso che no: la martellata su un pezzo recalcitrante era come il taglio di bisturi, magistrale e risolutore, di un chirurgo di fama. Il problema è che funzionava. Dan era in grado di tenere in strada motori che altrove sarebbero stati condannati al forno fusorio senza passare dal via. Lui non si arrendeva mai. Con la determinazione di un trainer deciso a far vincere alla sua mummia le Olimpiadi di Corsa nel Sacco.
Mi informano che lo hanno trovato morto, riverso su un motore che stava riparando. Aveva non più di quarant’anni. God bless you, Dan.