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Le mancate promesse olimpioniche per il turismo

/ 07/04/2025
Claudio Visentin

Parigi tira le somme dell’esperienza olimpica dello scorso anno e i bilanci sono francamente deludenti. Il balzo in avanti del turismo è rimasto un desiderio. Nel 2024 la capitale ha registrato «solo» 48,7 milioni di visitatori, e in particolare 7,1 milioni di soggiorni durante i giochi (dati di Choose Paris Region, l’agenzia di promozione internazionale), un aumento insignificante (+2%) rispetto all’anno precedente. Siamo comunque molto al di sotto di un anno senza eventi particolari come il 2023, quando la crescita segnò un robusto 8%; e anche con l’aiuto delle Olimpiadi, la città non ha comunque recuperato il livello del 2019, prima del Covid. Tra il pubblico delle gare, i turisti francesi hanno superato gli stranieri (soprattutto americani e britannici). Infine l’attrazione dei siti olimpici ha paradossalmente penalizzato le presenze in musei e monumenti (‒20%); e i pernottamenti negli alberghi sono stati addirittura in calo rispetto all’anno prima, a favore di altre forme di ospitalità.

Ma allora i grandi eventi sportivi non servono più? Nel dopoguerra le Olimpiadi di Roma del 1960, le prime trasmesse in diretta televisiva, mostrarono al mondo un Paese moderno e creativo che si era lasciato alle spalle le rovine della guerra, tra boom economico, dolce vita e cinema d’autore. In tempi più vicini a noi, il modello di riferimento è stato a lungo Barcellona, una città industriale in declino prima dei giochi del 1992. Le Olimpiadi furono l’occasione per una rigenerazione urbana su vasta scala: un lungomare ripensato, nuove spiagge, trasporti più efficienti, infrastrutture moderne e il recupero di quartieri degradati. Eppure oggi la stessa Barcellona, soffocata dall’Overtourism e vittima del suo stesso successo, si interroga su quel modello di sviluppo.

Già al tempo di Londra 2012 molte illusioni erano svanite e si puntò soprattutto al recupero di alcune aree degradate, in particolare East London. Dodici anni dopo, la narrazione di questi grandi eventi è sempre più stanca, l’opinione pubblica sempre più scettica. I costi organizzativi sono regolarmente superiori alle previsioni; i benefici sono difficili da misurare con precisione; grandi opere e ristrutturazioni allontanano le fasce più deboli dai quartieri interessati; quando si spengono i riflettori, le infrastrutture restano spesso inutilizzate (anche per questo Parigi ha puntato su strutture temporanee e riutilizzabili).

Naturalmente tutte le cifre possono essere discusse, interpretate, tirate da una parte o dall’altra; a volte sembra che non ci sia nulla di più incerto di un numero… Di certo i grandi eventi sembrano poco utili a città come Parigi, con un’immagine internazionale prestigiosa. Inoltre, proprio perché eccezionale, il turismo dei grandi eventi è un fattore di disordine, perché altera tutti i normali equilibri. Se molti residenti si godono lo spettacolo (prezzo dei biglietti permettendo), altri si allontanano, spaventati dal caos e dall’afflusso massiccio di turisti; è accaduto a Londra 2012, tanto che il Governo cercò di rimediare con messaggi pubblicitari mirati. Lo stesso vale per i visitatori: alcuni approfittano del grande evento, ma altri anticipano o rimandano la visita. Tutte le strutture sono in tensione, perché costrette a fornire servizi su larga scala per un tempo limitato. Insomma il turismo dei grandi eventi è il contrario di quello raccomandato oggi dagli esperti; i destination manager insistono semmai sulla regolarità, la prevedibilità e la misura dei flussi turistici.

Le Olimpiadi invernali di Cortina 2026 forniranno conferme o smentite. Per il momento i limiti (ritardi, polemiche e costi in aumento) sembrano superiori ai benefici. Cortina, come Parigi, è già una destinazione turistica consolidata e non si vede quale potrebbe essere il ritorno d’immagine. Naturalmente ci sono anche indicatori di segno contrario, per esempio la pista di bob. Molti consideravano inutile la costruzione di una nuova pista, rimandando semmai a quelle dei Paesi vicini. Invece, dopo uno stallo prolungato, è stata completata a tempo di record, in soli tredici mesi. Certo, i costi, come sempre accade, sono saliti parecchio, da 82 a 118 milioni di euro; tuttavia, quantomeno dal punto di vista tecnico, il risultato sembra interessante. Ma è quello che serve davvero a un ambiente alpino stravolto dal cambiamento climatico?