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Il genio del semaforo
Cesare Poppi
Wa è la capitale della Regione del Nord-Ovest del Ghana. Il suo nome deriva dall’allocuzione in lingua dagbani «te wa kaa yeng seore» («siamo venuti per vedere una danza»). Una danza piuttosto affollata, si direbbe: nel 1970 contava 14’000 abitanti, nel 2000 erano saliti a 66’000 mentre oggi sono più di 200’000 – e in veloce crescita mentre i villaggi del circondario continuano a svuotarsi e la produzione agricola scende in quantità e varietà. In città il traffico non è ancora eccessivo, specie da quando un parco macchine che era un museo dell’evoluzione dell’automobile è stato ampiamente sostituito dagli ubiqui kamboo, pidgin English per «can do/si può fare», gli ormai iconici tricicli tipo Vespa Piaggio convertiti per il trasporto passeggeri di fabbricazione indiana o cinese. Agili ed economici, relativamente veloci e leggeri, tanto da poter essere rimessi in strada con poco sforzo e molte risate qualora (spesso) si ribaltino su una buca, sfrecciano lungo le strade cittadine come formiche da corsa. Il traffico si concentra nella zona del gigantesco mercato centrale, verso la periferia Ovest della città e nei pressi di una depressione dove un laghetto permanente irriga orti urbani anche nella stagione secca, oltre ad ospitare un decrepito coccodrillo sacro. All’incrocio che divide il mercato del bestiame dal resto del mondo commerciabile è stato posto un semaforo. Il semaforo funziona. O forse no. Ovvero l’Altropologo non ha mai capito come funzioni. Nel senso che sì, il bianco, il rosso ed il verde si alternano sui quattro impianti dell’incrocio ma come, quando e per quanto non è sempre molto chiaro. A volte si sovrappongono, altre volte durano pochi istanti oppure lunghissimi minuti. Altrimenti si accavallano e si contraddicono, per non addirittura spegnersi senza preavviso causa i periodici ed imprevedibili blackout del flusso di corrente elettrica.
Provate ad immaginare la scena. A decine i kamboo si ammassano fianco a fianco arrancando e imprecando per raggiungere la testa del mucchio selvaggio in attesa del verde – non si sa mai che stavolta duri solo cinque secondi… Ma stavolta il rosso ha deciso di stare un po’ più a lungo… I Kambuisti, gomito a gomito, chiacchierano e si scambiano cortesie nell’attesa. Poi qualcuno si innervosisce e partono i primi clacson. Presto è una cacofonia che farebbe andare in brodo di giuggiole John Cage: ciascun Kambuista ha la sua particolare varietà di clacson per farsi notare nella bolgia e l’effetto globale è quello di un girone infernale dove sarebbe una fortuna essere sordomuti. Poi scatta il verde ed è il caos. I semafori non sono comunque sincronizzati per permettere le svolte attraverso le corsie di marcia e così, immediatamente, al centro dell’incrocio si ingruma un groviglio inestricabile di kamboo condito con urla, imprecazioni, schiamazzi e tante risate. Un macello. Poi qualcuno scende e comincia sortire i veicoli uno ad uno, con la cautela e la pazienza di un giocatore di shanghai… ma se poi succede che, proprio mentre il groviglio comincia a dipanarsi, improvvisamente scatta di nuovo il verde – o il rosso, o quel che sia e magari random, allora parte la seconda ondata, si fionda nel mucchio, ci si incastra e si ricomincia da capo. Insomma: fate conto una partita di rugby nella quale appena risolta una mischia i giocatori ci si ributtino dentro a capofitto gridando «banzai!!».
Ad un certo punto, attorno a Natale, era cominciata a girare la voce che nei semafori si nascondesse un djin/djinna – chi diceva maschio e chi femmina. I djin sono quelli che in Italiano chiamiamo genii – come quello della lampada di Aladino, per intenderci. Stessa radice linguistica di genio, i djin sono gli spiriti del folclore arabo responsabili ora di disgrazie ora di fortune. Maligni e benevoli che siano, ma sempre dispettosi (le djinna femminili sono le più temute) occorre tenerseli buoni con offerte e scongiuri altrimenti sono guai. A Wa, città a maggioranza musulmana con quote significative di cristiani e tradizionalisti dove tutti peraltro, in un modo o nell’altro, credono e praticano negli e con spiriti e agenti sovrannaturali di vario genere, djin e djinna sono molto popolari. Gli autisti, in particolare, li ritengono spesso responsabili di guasti meccanici e incidenti. Certi passaggi cruciali di una strada – curve, buche, incroci… – sono noti per essere infestati dagli spiriti e dunque si esercita massima prudenza: non c’è bisogno di semaforo. E quando capita un’incidente spesso si conviene che non sia colpa di nessuno: sono state le djinna e dunque onore e portafoglio sono salvi. Geniale, direi.