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L’effetto Trump in Canada

/ 10/03/2025
Paola Peduzzi

I dazi trumpiani al Canada hanno prima affossato la leadership dell’attuale premier, Justin Trudeau, e poi dato una nuova linfa al suo partito, il Liberal Party, che era indietrissimo nei sondaggi e che ora ha recuperato quasi tutto lo scarto, arrivando a livelli che non toccava da quattro anni. Nel frattempo però Trudeau si è dimesso, e forse nella sua testa è sorto il dubbio di essere stato un poco precipitoso, perché la campagna elettorale di quest’anno – si deve votare entro dicembre – ha preso tutta un’altra forma. L’impopolarità di Trudeau è antecedente alla vittoria di Donald Trump, ma la guerra commerciale avviata dal neopresidente quando ancora non si era nemmeno insediato ha costretto il premier canadese a farsi da parte. Ci ha messo un po’, Trudeau, a realizzare che un suo passo indietro fosse necessario. È andato a Mar-a-Lago a dicembre per ingraziarsi Trump e la sua Corte, ha partecipato a una cena, ha rilasciato dichiarazioni rassicuranti (lo ha fatto anche Trump) ma, dopo pochi giorni, sono cominciati gli annunci minacciosi della nuova Amministrazione, che si sono trasformati nella guerra commerciale in corso: dazi e controdazi. Nel frattempo Trump ha iniziato a definire Trudeau «governatore», come se il Canada fosse uno Stato americano, e continua a farlo, con quella sua furia annessionista che applica anche alla Groenlandia e al Canale di Panama.

Trudeau non se l’è giocata bene internamente, la tregua con Trump. I suoi stessi ministri hanno iniziato a smarcarsi dal Governo, dicendogli che non ci si poteva fidare di Trump e che il budget del Governo canadese avrebbe dovuto tenere conto della minaccia – molto reale – dei dazi. Trudeau è così sembrato un credulone, si è trovato isolato e infine ha rassegnato le dimissioni: alle prossime elezioni non si ricandiderà. Dal lato del Partito conservatore sembrava fatta. Già i sondaggi davano un vantaggio anche di una quindicina di punti, dopo il distacco si è rafforzato. I conservatori, che sono fuori dal Governo da una decina d’anni, hanno scelto come loro leader Pierre Poilievre, un 45enne energico votato al libero mercato e all’abbassamento delle tasse, in Parlamento da vent’anni, soprannominato «Skippy» perché combattivo, tagliente, entusiasta, ma anche capace dietro le quinte di negoziati e diplomazia. Nominato leader del Partito conservatore nel 2022, Poilievre ha iniziato una battaglia anche personale contro Trudeau, è stato sospeso per aver insolentito il premier. A quel punto si è iniziato a definirlo «trumpiano»: è più una questione di forma che di sostanza. A differenza del presidente Usa, Poilievre ha idee liberal-libertarie coerenti, organizza le «carovane della libertà», dice che vuole smantellare burocrazia e pressione fiscale, ha una durissima politica contro il crimine e l’ordine pubblico ma, a differenza di Trump – ed è una differenza cruciale – non pensa che siano i migranti i colpevoli dell’aumento della criminalità.

Il Canada, proprio come l’America, vive di immigrazione e integrazione, ma se il presidente americano nega la natura intrinseca della società del Paese che governa, Poilievre – che è anche sposato con Anaida, arrivata in Canada come rifugiata dal Venezuela – è a favore di politiche d’accoglienza e di integrazione. Un trumpiano pro immigrazione non è dato, e questo crea una distanza non da poco con Washington: l’altra è proprio data dai dazi. Proprio come Trudeau, Poilievre critica con forza i dazi trumpiani, tiene discorsi rivolgendosi direttamente agli americani, ai quali spiega che i primi a pagare per questa politica protezionista saranno loro (l’America, tanto per dire, importa più del 50% del greggio dal Canada). La difesa del Paese, delle sue esportazioni e anche della sua sovranità ha creato il cortocircuito di queste ultime settimane: l’uscente Trudeau e il suo rivale Poilievre combattono la stessa battaglia contro i dazi trumpiani. E i canadesi, noti in tutto il mondo per essere miti e multiculturali, si sono messi a cantare a squarciagola il loro inno, espongono le bandiere sui balconi, sono travolti da un inatteso e orgoglioso patriottismo. Allo stesso modo, nei negozi hanno iniziato a comparire etichette e cartelli che indicano i prodotti made in Canada, da preferire, e alcuni bar hanno ribattezzato i caffè «americanos» in «canadianos». Intanto la definizione di «trumpiano» continua a rimanere appiccicata a Poilievre, e questo ha determinato il suo stallo nei sondaggi. Questo non significa che le sue possibilità di diventare il prossimo premier del Canada siano finite, ma l’ingerenza trumpiana, qui, ha già fatto cadere un Governo e potrebbe determinare il prossimo.