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La sindrome del Tom-Tom
Alessandro Zanoli
Quando, tempo fa, con i colleghi della Redazione abbiamo pensato di avviare questa rubrica, intendevamo offrire ai nostri lettori uno spazio in cui riflettere su mondo delle tecnologie digitali, con l’intento di fondo di fornire consigli utili e anche pratici, per comprenderne e abbordare meglio le varie implicazioni (e complicazioni) nell’uso delle nuove pratiche informatiche che influenzano la nostra vita.
Si è dimostrato oggi che quell’intuizione era ragionevole. Ciò viene confermato ad esempio dalle numerose iniziative sul territorio, promosse da istituzioni e da privati, che vanno nella stessa direzione. Col passare del tempo però a chi scrive si è reso chiaro il pensiero che i problemi tecnologici di fondo siano tutto sommato facilmente risolvibili. Quello che sembra più importante colmare è un gap psicologico e, se vogliamo, anche filosofico rispetto a questo argomento. Senza voler sconfinare nel campo della preziosa rubrica soprastante, ci sembra che agli utenti di oggi occorra seriamente riflettere sulla distanza da prendere dai ritrovati della tecnologia, i quali come la mitica scopa dell’apprendista stregone, sembrano catturarci in un gioco perverso che ci indebolisce invece di rafforzarci, che ci schiavizza invece di liberarci.
Un elemento su cui vorremmo richiamare la vostra attenzione, ad esempio, è la «sindrome del Tom-Tom». Un fenomeno relativamente pernicioso, crediamo, che si applica a vari aspetti dell’uso della tecnologia digitale tascabile, e forse con inquietanti risvolti anche psicologico-sociali. Come riflettevamo qualche giorno fa con alcuni amici, l’uso dei navigatori digitali sta modificando sottilmente il nostro modo di pensare. Prima del suo avvento i viaggi si preparavano artigianalmente a tavolino, con cartine geografiche più o meno dettagliate, con indicazioni mai definitive ma piuttosto generiche. E si arrivava comunque dove si voleva andare (magari scoprendo lungo la strada interessanti spunti di curiosità non previsti). Oggi, per viaggiare, esiste solo «la strada giusta»: quella che indica il navigatore. «Accidenti, abbiamo sbagliato strada!» è la frase più frequente che sentiamo pronunciare nel corso del viaggio. E tutto l’itinerario sembra diventare un ansioso rosario di maledizioni e di preoccupazioni, che ci toglie ogni attenzione al paesaggio, al viaggio stesso, in fondo. Rilassiamoci. Di fatto, l’«unica» strada giusta non esiste: non è un’evidenziazione azzurra su un piccolo schermo a definire la realtà. Eppure questo oggetto, il navigatore digitale, che dovrebbe nelle sue premesse (e promesse), occuparsi di togliere da noi una fonte di ansia, diventa una non indifferente occasione di litigio e di preoccupazione. Stiamo scherzando, naturalmente. Ma nemmeno troppo.
E soprattutto, se estendiamo la «sindrome del Tom-Tom» a tutti gli aspetti della nostra interazione con gli oggetti digitali che ci circondano, ci rendiamo conto che sono proprio questi strumenti a generare in noi un’ansia da prestazione. «Starò facendo la cosa giusta? È così che si deve fare? Sarò all’altezza di compilare questo formulario, di avviare questa pratica digitale?». Come se l’esperienza vitale fosse tutta filtrata da prove e da difficilissimi tranelli tecnologici a cui noi, come Bilbo Baggins, dobbiamo sfuggire, ingannando il temibile Drago rosso. Secondo noi è molto importante, terapeutico persino, imparare a non aderire a quel modello digitale, quel «sì-no» su cui si basano le tecnologie moderne, che sono appunto digitali, non analogiche, cioè senza discernimento, senza zone grigie. Il grosso rischio è che senza accorgerci si cominci anche a ragionare in questo modo, in un percorso di «sì-no» che può finire a dividere i buoni dai cattivi, i meritevoli di attenzione dai trascurabili, le «verità assolute» dalle «bugie assolute», le informazioni «giuste» da quelle «sbagliate», in un gioco pericoloso alla semplificazione, se non altro, piuttosto diseducativo.
Non sarà un problema di tutti, ma il consiglio è di tener conto delle sfumature «analogiche» e di non farsi prendere dall’ansia, dalla «sindrome del Tom-Tom». Per informarci, per trovare buone ricette di cucina, per scoprire nuovi sentieri in montagna, per leggere buoni libri, per conoscere nuove persone e iniziare nuovi viaggi non ci son strade giuste. Ci sono strade. Sono queste le vere «Terre rare», altrettanto preziose di quelle che fanno funzionare i nostri smartphone.