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La vendetta di Lorenzo Alì sotto il segno di Fantomas
Melania Mazzucco
Lo chiamavano Lorenzo Alì. Era nato in Sudan intorno al 1897. Non sappiamo come fosse arrivato a Roma (ma fra il 1894 e il 97 una parte del Paese era stata occupata dagli italiani). L’unica ragione per cui rimane una labile traccia della sua esistenza è il colore della sua pelle. Era «un negro autentico» – come scrive un giornalista anonimo de «La Tribuna», quotidiano della capitale, nel reportage pubblicato il 21 agosto 1917 col titolo Un Fantomas originale.
La vendetta del nero. Con l’aggettivo «autentico» sembra suggerire che esistano negri «falsi»: probabilmente intende mulatti, o dall’epidermide appena brunita. Lorenzo Alì invece aveva la «pelle più nera dell’ebano». Era un uomo «di bella statura, intelligente, sveltissimo, ma di carattere alquanto ribelle». Lavorava nella numerosa schiera di domestici al servizio di S.E. James Rennell Rodd, dal 1908 ambasciatore d’Inghilterra nel Regno d’Italia. Il palazzo sorgeva in fondo a via XX Settembre, alle spalle di Porta Pia, ed era fornito di un grandioso parco, che si estendeva fino a via Palestro.
Rennell Rodd, barone, era entrato in diplomazia per consiglio del pittore Burne-Jones, suo amico. Era amico anche di Oscar Wilde, che lo aveva aiutato a pubblicare un volume di poesie (ma dopo lo scandalo e il processo per omosessualità, quando Wilde cadde in disgrazia, il barone, ormai rappresentante della corona, dovette rinnegarlo); corrispondeva anche con D’Annunzio. Sposato con Lilia Guthrie, aveva sei figli. Di qualunque ribellione, indocilità o insubordinazione il «negro» si fosse macchiato, nel maggio del 1917 l’ambasciatore lo licenziò. Lorenzo Alì non riuscì a trovare un altro lavoro.
Tre mesi dopo, nella notte di venerdì 17 agosto, scavalcò il muro della proprietà e sgattaiolò fra le piante del parco. Si nascose in un villino adiacente al fabbricato dell’ambasciata, e poi nella cantina dell’edificio principale; infine, nel primo pomeriggio di sabato, approfittando del riposo generale nelle ore di calura, si insinuò, silenzioso «come un felino», nella soffitta sopra lo studio dell’ambasciatore. Era pratico dei luoghi e conosceva le abitudini del barone: paziente, entrò in azione soltanto alle otto di sera, quando quello uscì per la cena. «Pensò che qualcuno sarebbe potuto entrare nella stanza», chiosa il giornalista. «E allora? Un maglione tutto nero come quello di Fantomas o dei famosi ladri d’albergo a lui non era necessario per occultarsi (…): lui aveva la pelle tutta nera e così pensò di svestirsi, rimanendo completamente nudo; anche se qualcuno fosse entrato egli si sarebbe nascosto in un angolo oscuro del salone e sarebbe rimasto sicuramente invisibile».
Il riferimento a Fantomas esige una spiegazione. Il ladro che indossava il maglione nero era l’anti-eroe dell’omonima saga di romanzi polizieschi di Pierre Souvestre e Marcel Allain, pubblicati a puntate in Francia dal 1911. Il cinema si era subito appropriato del personaggio, e Louis Feuillade aveva realizzato già nel 1913 il primo film di una serie in cinque episodi che divenne rapidamente popolare in tutto il mondo, Italia compresa. Ambientata in un contesto urbano e moderno, la serie – prototipo del genere noir – ha generato un’infinità di imitazioni. Ma soprattutto aveva rovesciato il punto di vista consueto: il pubblico non parteggiava per il poliziotto, l’ispettore Juve, che gli dava la caccia, ma per il criminale – diabolico, geniale nei travestimenti e spietato nelle azioni. (Nel quarto episodio, che circolava ancora nelle nostre sale, Fantomas arriva a liberare l’ispettore, accusato di essere proprio Fantomas, per dimostrare l’incapacità della polizia). Il paragone di Lorenzo Alì con Fantomas dunque è più ambiguo di quanto sembri. (continua)