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Ricordi di un vicino passato: la «mitologia» degli anni 80 e 90
Benedicta Froelich
Chiunque sia uso a bazzicare quotidianamente il web e i suoi maggiori social network non avrà certo potuto fare a meno di notare il recente sviluppo di un curioso fenomeno – ovvero, la sempre più frequente tendenza a una forma di nostalgia e rimpianto assolutamente pervasivi nei confronti degli anni 80 e, soprattutto, 90. Negli ultimi mesi si è infatti potuto assistere alla proliferazione di centinaia di video (soprattutto shorts e reels, come YouTube e Facebook definiscono i filmati di breve durata), i quali offrono strazianti carrellate sugli oggetti e abitudini che hanno definito quei decenni, in un irresistibile «effetto nostalgia» dalle connotazioni quasi proustiane – al punto da rendere incredibilmente attraenti perfino le schermate dei vecchi computer MS-DOS, nuovi oggetti del desiderio all’interno di questo «amarcord» tecnologico.
Naturalmente, le interpretazioni dei possibili motivi dietro questo fenomeno si sono sprecate: su tutte, quella che ne imputa la causa alla natura sempre più ipertecnologica del nostro mondo, in cui ci troviamo a trascorrere la maggior parte del tempo incollati a uno schermo – sia esso quello di uno smartphone, o del laptop da lavoro; un mondo in cui il contatto umano appare come sempre più lontano ed elusivo, quasi superfluo, facendo delle antiche forme di aggregazione qualcosa a cui guardare con rimpianto. Ma se ciò basta a spiegare la nostalgia verso lo stile di vita a cui eravamo abituati una trentina d’anni fa, non è comunque sufficiente a giustificare i commenti inteneriti degli utenti dei social, talmente simili tra loro da risultare pressoché intercambiabili: tutti sottolineano infatti la profonda commozione provata nel rivedere, come in un flashback, le immagini di semplici oggetti di uso quotidiano di quegli anni – dalle musicassette e tessere del videonoleggio, fino ai gadget che rappresentavano veri e propri status symbol di allora, quali i primi walkman e gli indimenticati stereo boombox.
In realtà, è chiaro che in questo amaro rimpianto collettivo (al quale nessuno sembra essere del tutto immune) giocano un ruolo cruciale gli eventi degli ultimi anni, i quali hanno inevitabilmente messo a dura prova soprattutto le generazioni più giovani; e se la pandemia è la prima a essere chiamata in causa, altre emergenze, tra guerre in corso e crisi economiche, hanno mostrato come, per molti versi, il nostro vecchio mondo abbia definitivamente perduto quell’innocenza in cui forse la maggior parte di noi aveva un tempo creduto. Il che porta le persone tra i 35 e i 45 anni di età – ovvero, proprio il target che, quasi masochisticamente, si strugge di rimpianto davanti ai video di cui sopra – a tracciare un curioso parallelo con la propria infanzia: nell’amore per l’ingenua e arcaica tecnologia degli anni 80 e 90, i nostalgici sembrano così ricercare la loro stessa innocenza perduta, ricordo dell’età adolescenziale che la maggior parte di essi stava attraversando all’epoca; un sentimento irripetibile, come irripetibili sono la spensieratezza e naturalezza dell’infanzia – del tutto sovrapponibili, del resto, alla percezione di un mondo apparentemente più facile da navigare.
E quale modo più semplice di riportare in vita tale innocenza che tramite la celebrazione della cosiddetta «cultura materiale» – ovvero, dei reperti tangibili della vita quotidiana, i quali, come si evince dalle compilation video che furoreggiano ovunque in rete, includono gli ausili tecnologici e perfino i luoghi fisici simbolici dell’epoca, in una sorta di postmoderno studio archeologico.
E allora, per quanto dolce «il naufragar in questo mare» possa apparire, forse occorre comunque anelare a una cura alternativa al rimpianto; benché il passare del tempo sembri condannarci a una forma di costante nostalgia, è ancora possibile ritagliarsi uno spazio che riporti la nostra anima a una dimensione maggiormente a misura d’uomo – a una società non più guidata soltanto dal servilismo verso una tecnologia ipertrofica e onnipresente, ma da un ritorno alla centralità della persona e dei sentimenti. In un meccanismo, infine, certo più costruttivo delle lacrime spese davanti all’immagine di un vecchio computer o di una videocassetta.