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Programmi che programmano

/ 03/02/2025
Alessandro Zanoli

C’è una cosa che preoccupa nella recente dichiarazione di Mark Zuckerberg, e cioè nella sua decisione di affidare in sempre maggior misura all’Intelligenza artificiale il compito di scrivere il codice utile ai servizi della sua azienda. Secondo il proprietario di Facebook, in futuro l’IA vedrà un suo campo fondamentale d’applicazione proprio nel settore della programmazione informatica. Già oggi pare che la nuova tecnologia sia in grado di realizzare software con un’affidabilità tra il 90 e il 100 per cento. In futuro, la sua qualità potrà solo migliorare, permettendo un risparmio di tempo (e di soldi) inimmaginabile. Chi si occupa di programmazione sa esattamente di cosa parliamo: scrivere codice è un lavoro complesso, minuzioso, sfaccettato, che richiede tempo e costanza. E poi verifiche e debugging, cioè controlli sulla funzionalità, fino a ottenere prodotti affidabili ed efficaci. L’uso dell’IA permetterà invece di accorciare i tempi in modo drastico e, verosimilmente, anche di ridurre drasticamente la manodopera necessaria.

Dopo i giornalisti, anche gli informatici sono dunque ufficialmente una categoria a rischio. E del resto, come dicevamo giorni fa scherzando con un amico, forse solo gli idraulici, di questi tempi, possono dirsi al riparo dall’IA nel loro settore professionale (almeno finché qualcuno non le insegnerà a sturare i lavandini).

Ora, per tornare alla nostra affermazione d’apertura, non sono solo legate al mondo dell’impiego le preoccupazioni che ci ispirano gli scenari preconizzati da Zuckerberg. Il punto forse meno appariscente è che affidando alle macchine il compito di realizzare del codice, noi correremo il rischio di perdere il controllo dei processi «di base» implicati nella realizzazione dei programmi. In pratica, sarà probabilmente molto difficile verificare la reale efficacia e pertinenza delle procedure architettate di volta in volta: insomma, il timore è che nessun umano abbia più la possibilità, e poi il tempo, di andare a controllare la concatenazione delle routines, la logica dei processi interni, nei miliardi di righe di codice scritti (di puro copia-incolla, tra l’altro) dalle macchine stesse. Con il rischio che venga a innescarsi un processo di «entropia digitale» dalle conseguenze imprevedibili.

Ma non sbagliamoci: già da tempo stiamo vivendo qualcosa del genere. Discutendo qualche tempo fa con un altro amico programmatore, che sta passando una fase di deciso scetticismo verso la propria professione, riflettevamo sul fatto che gran parte di chi programma oggi spesso non conosce davvero i processi informatici di base che pilotano i computer. Ci si accontenta di lavorare «in superficie» creando app che funzionano, ma senza sapere veramente «perché» funzionano. Se pensiamo agli anni in cui i primi elaboratori hanno iniziato ad apparire negli uffici e nelle attività professionali, ricordiamo che allora erano forniti con approfondite documentazioni, con dettagliate istruzioni per interagire a livello di «linguaggio macchina», cioè con i più elementari processi logico/elettronici di funzionamento. Ma dagli anni 90 in poi il continuo perfezionamento dei sistemi operativi, la corsa alla semplificazione nell’uso, hanno reso sempre più distanti i livelli di accesso di profondità. Fino ad arrivare a un punto, rideva amaramente l’amico, in cui oggi nessuno sa più veramente perché «va» un computer, su quale catena di soluzioni approssimate (e precarie) sia basato il suo comportamento.

E allora eccoci al busillis: quando la programmazione sarà affidata direttamente alle macchine stesse, probabilmente perderemo un altro tassello di reale conoscenza e contatto con i processi informatici. Chi sarà in grado infatti di sollevare il cofano e andare a riparare il motore, quando non si avrà la più pallida idea di come quello è stato assemblato? Un consiglio agli aspiranti informatici del futuro: preparatevi a diventare creativi meccanici digitali, perché il rischio che si corre è di dover mettere le mani in grandi, caotici pasticci. Sperando sempre che da qualche parte, comunque, qualcuno abbia previsto un pulsante di alimentazione, da premere in caso di emergenza. Hal 9000 docet