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Le prime gravissime mosse di Donald Trump

/ 27/01/2025
Aldo Cazzullo

Il discorso di insediamento di Donald Trump assomigliava molto ai suoi comizi elettorali. Non un programma, ma una serie di slogan: «Farò finire le guerre ed eviterò la terza guerra mondiale». Come, non si sa. Senza progetto: «Trump will fix it», lui risolverà tutto. Il trumpismo è messianesimo e improvvisazione: «Tornerà l’età dell’oro americana». Gli unici presidenti che cita e considera sono George Washington, Ronald Reagan e Abraham Lincoln. Soprattutto Lincoln, perché anche a lui hanno sparato; la differenza è che Dio, distratto al momento dell’attentato a Lincoln, a Trump ha salvato la vita. A questo punto il copione prevede che il presidente ruoti la testa mostrando alla platea l’orecchio sinistro, ferito nell’attentato in Michigan: «Vedete? Potrei essere in una delle mie stupende case sulla spiaggia, con la mia bellissima moglie; invece sono qui, a rischiare la vita, a combattere, per voi». In campagna elettorale ho visto Trump chiamare sul palco di Salem, Virginia, le nuotatrici della squadra locale – «siete bellissime, ma oggi a dirlo ci si rovina la carriera politica» – che si battono per non gareggiare contro le transgender, più forti. Lui, The Donald, prometteva che libererà la scuola da queste ultime. Belle ragazze, capelli lunghi, giovani. I genitori scattavano foto con il telefonino. Tutte indossavano una maglietta rosa con la scritta «no transgender».

Ma a Salem quante nuotatrici transgender ci saranno? Probabilmente nessuna. Ammettiamo che siano una o due. Perché queste ragazze sentono il bisogno di lanciare un allarme così accorato? Per salire sul palco con Trump e farsi fotografare dai genitori? Più in generale: perché, se una persona transita da un sesso all’altro, oppure se due omosessuali si sposano e adottano un bambino, una persona non transgender e non gay dovrebbe sentirsi coinvolta e offesa? Qualcuno dice: gli elettori, in particolare i poveri, si offendono perché la politica non si occupa di loro, ma degli «altri». In effetti la politica dovrebbe occuparsi di più dei poveri. Ma la politica per definizione si occupa di tutti; pure degli «altri». Perché il riconoscimento di un diritto altrui dovrebbe limitare il mio? Ma Trump nel discorso di insediamento l’ha ripetuto: «Nella mia America ci saranno solo due sessi, maschio e femmina». La vescova di Washington che gli ha chiesto misericordia, per tanti bambini spaventati, è stata guardata con odio da Trump e dalla sua famiglia. Eppure le persone ermafrodite e transgender esistono da sempre, e sempre esisteranno. Ma la cosa più preoccupante è che Trump rifiuta qualsiasi forma di cooperazione internazionale. Ha ritirato gli Usa dall’Organizzazione mondiale della sanità e dagli accordi di Parigi per la lotta al cambio climatico. Ha vanificato la tassa minima del 15% sulle multinazionali della rivoluzione digitale, che mandano sul lastrico i piccoli commercianti e gli editori tradizionali e non pagano le tasse agli Stati che Trump considera vassalli. Una situazione gravissima, che i suoi sostenitori considerano normale.

Il capovolgimento, rispetto a quando i repubblicani erano il partito dell’establishment e i democratici erano i populisti, è totale. Lontano anche il tempo in cui i repubblicani pensavano di tornare alla Casa Bianca con centristi come Mitt Romney oppure outsider come John McCain. La svolta radicale era cominciata già con il Tea Party, la rivolta contro il Governo e le tasse, cui però mancava un leader. Quel leader è Trump. I pazzi che aveva mandato contro il Campidoglio per tentare di rovesciare il verdetto delle urne del 2020 sono stati graziati, quindi di fatto incoraggiati a riprovarci, se le prossime elezioni dovessero andar male. Tuttavia non credo che la svolta verso l’estrema destra sia una tendenza irreversibile o molto duratura, come quella degli anni 80. Nel 1984 Ronald Reagan vinse tutti gli Stati tranne il Distretto di Columbia e il Minnesota. All’epoca i repubblicani vinsero tre presidenziali di fila. Certo, Trump è Trump, e ha vinto di nuovo restando sé stesso. Mi permetto però di instillare un dubbio in tutto questo trionfalismo a destra. Siamo sicuri che Trump porrà fine alle guerre? E in che modo? Siamo certi che «togliere la paghetta a Zelensky» sia il modo migliore di mettere pressione a Putin? Ora che sta vincendo, perché lo zar dovrebbe accontentarsi del Donbass anziché centrare il suo obiettivo iniziale, piazzare un suo uomo a Kiev?