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Tutta mia la città...
Cesare Poppi
… così canticchiava il vostro Altropologo di riferimento l’altro giorno, alla ricerca quotidiana di un chiosco dove trovare birra fredda e – soprattutto – dove imboscarsi (da queste parti letteralmente) dall’assillo di ambulanti, postulanti, mendicanti e quant’altri meno desiderabili che attiro come le api sul miele in qualità di unico Nasaara Dau («uomo nazareno», ovvero cristiano, cioè Bianco) presente in città.
Quando arrivai a Wa nei primi anni 80 del secolo scorso, nella capitale della regione del Nordovest del Ghana c’era ancora una nutrita presenza di missionari europei e qualche americano – tutti Nasaara Dau – che in qualche modo spalmavano più equamente la pressione per piccoli contributi monetari. Poi arrivarono le ONG, truppe di studenti entusiasti e internazionali usciti dai primi corsi universitari di Cooperazione allo Sviluppo e fu l’età d’oro dello scrocco e dell’ «agratis». Gli anni 90 furono favolosi, l’economia del Ghana si riprendeva, per quanto lentamente, dopo le ristrettezze dei colpi di Stato e della crisi economica. La birra ricominciava a scorrere e i discobar fiorivano con clientela multinazionale variopinta: si poteva valutare lo stato di avanzamento inesorabile del Progresso dalle casse di birra accumulate all’alba fuori dei punti d’abbeverata. Naturalmente pagava Pantalone, vuoi per la disponibilità di argent de poche dei volontari, vuoi per il basso costo delle bevande (si imparava presto che era meglio bere assieme agli amici musulmani perché le bevande alcoliche costano il doppio delle altre), vuoi pure perché gli (auto)inviti dello sconosciuto che si sedeva al tuo tavolo con l’irrifiutabile proposta «voglio essere tuo amico» avvenivano molto sovente e certo anche a volte in buona fede. Pure se – occorre aggiungere per antropologica chiarezza – simili pratiche fra connazionali locali sarebbero giudicate disdicevoli in quanto contrarie alla strutturazione dei rapporti di amicizia e dunque al bon ton delle culture locali, molto attente all’etichetta e alla cortesia come, in buona sostanza, alla gerarchia fra le classi.
Poi l’indigenizzazione del clero, dei missionari e delle ONG ha fatto sì che i Nazareni siano tornati a casa. E così – potete capire – l’unico sopravvissuto che seguita a tornare a Wa come un postino che continui a suonare (prima o poi dovrò spiegare a me stesso il perché) vaga di bar in bar e di chiosco in chiosco – sempre più lontano in una periferia che si espande ormai con una velocità impressionante.
I villaggi si spopolano. Restano le donne e i vecchi. Con una popolazione crescente – e impressionante di bambini. Gli sforzi di governi peraltro indebitatissimi per migliorare le condizioni igieniche e l’assistenza medica hanno drasticamente ridotto sia le morti per parto che la mortalità infantile. Resta da vedere cosa succederà a generazioni costrette a competere per posti di lavoro inesistenti ora che la produzione agricola cede all’importazione di riso dall’Asia, del grano dagli USA e del pollame di bassa qualità dal resto del mondo…
Stranamente qua non si sente parlare del dramma dell’emigrazione verso i Paesi europei. Che i giovani abbandonino i villaggi per cercare fortuna «al Sud» è fatto acquisito da decenni. Solo che ormai è un’emorragia. Molti tornano ad un certo punto con un po’ di soldi guadagnati nelle miniere d’oro di superficie dove peraltro molti restano vittime di incidenti e crolli delle gallerie improvvisate. Il fenomeno dilagante del «galamsey» – dall’inglese gather them and sell – prendi e vendi, ovvero «mordi e fuggi», devasta non solo il territorio con l’inquinamento delle acque dal mercurio usato per estrarre l’oro dalla ganga, ma anche per l’assuefazione al micidiale Tramadol e derivati, un oppioide ormai diffuso anche fra gli agricoltori per sopportare la fatica. «E quelli che non tornano? – chiedevo a un funzionario governativo – Vanno forse in Europa dove non sono benvenuti – e forse muoiono in mare?». Non mi sembrava ne sapesse nulla. E qui a Wa non ne sanno proprio niente. Nessuno.
Questa dunque la situazione della Città – Wa significa semplicemente la città - che sto imparando a conoscere benino mentre canticchio la famosa canzone dell’Equipe 84 – che tempi! Non è «un deserto che conosco» ma un lontano labirinto nel quale cerco un angolo per nascondermi in una periferia sempre più lontana.