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Ci mancava solo la Generazione Beta
Carlo Silini
Ho dovuto aspettare l’inizio del nuovo anno per scoprire, con molti altri ignari come me, che esisteva una Generazione Beta, consistente nel sottogruppo demografico di personcine (uso il diminutivo affettuosamente trattandosi, per ora – credo – , di bébé) nate «tra i medio-tardi anni duemilaventi e gli ultimi anni duemilatrenta o primi anni duemilaquaranta», come spiega scivolosamente Wikipedia. Scivolosamente, perché è una definizione che scappa di mano: chi è venuto al mondo nel 2024 ne fa già parte? E chi nascerà nel 2042? Del resto, non è ancora del tutto chiara l’esatta durata di una generazione umana: quindici, venti o venticinque anni?
Per esempio, io stesso non so se collocarmi nella sterminata schiera dei boomer, nati tra il dopoguerra e da qualche parte sulla linea cronologica verso la metà degli anni Sessanta, o nella Generazione X, dei figli sbocciati a vita tra il 1965 e il 1980. In teoria appartengo, per un pelo, a tutte e due.
Al di là della vaghezza cronologica dei casi menzionati, sono stato assalito da un primo momento di sgomento rendendomi conto che, nel frattempo, avevo perso per strada anche la precedente Generazione Alpha, composta da umani nati tra i primi anni duemiladieci e la metà del duemilaventi. E aggiungo, senza vergogna, di andare in palla quando sento parlare delle varie generazioni Y e Z. Devo sempre mettermi a rimorchio di internet per sapere di quale fascia di umani stiamo parlando (per la cronaca e per togliervi il dubbio: la Generazione Y va da inizio anni Ottanta e metà anni Novanta del Novecento e la Generazione Z dalla fine degli anni Novanta agli inizi del 2010).
Con tutto il rispetto per la scienza sociologica, fino a che punto hanno senso queste categorizzazioni generazionali? Immagino servano a tracciare i profili teorici degli appartenenti ai vari segmenti delle età attraverso alcune caratteristiche qualitative e quantitative specifiche. Per esempio, la generazione Alpha è la prima ad essere nata interamente nel XXI secolo, mentre «l’infanzia della Generazione Beta coincide con i progressi tecnologici come l’intelligenza artificiale e la realtà virtuale», spiega, didattica, la solita informatissima Wikipedia. Pare che entro il 2035 costituirà il 16% della popolazione mondiale e che molti suoi membri arriveranno al 22esimo secolo (al netto di guerre e pandemie, aggiungiamo noi).
A chi servono queste indicazioni per categoria d’età, oltre agli uffici di statistica e ai sociologi che le hanno inventate? Soprattutto al mercato, che può mirare meglio al pubblico dei potenziali clienti a seconda della loro età, anche se oggi i veri specialisti dei gusti e delle possibilità economiche di ognuno sono gli algoritmi.
A noi servono poco, anzi, come tutte le semplificazioni, un po’ ci innervosiscono. Per cominciare sospettiamo che innervosiscano anche i diretti interessati. Una donna della generazione Y ha rilasciato un’intervista alla radio SSR dicendo che si sente più affine a persone che magari hanno dieci anni più di lei ma vivono nello stesso quartiere. Perché la data di nascita è solo uno dei fattori che possono accomunarci agli altri. Lo stato sociale, gli interessi personali e le private passioni, gli hobby e le letture, il percorso di formazione, la religione, la politica, i casi e le scelte di vita creano probabilmente più coesione della vicinanza tra le date di nascita. E poi, la realtà geopolitica del pianeta è troppo squilibrata per poter considerare davvero affini un bambino nato dopo il 2010 a Lugano o a Bellinzona e uno nato nello stesso periodo a Gaza o ad Haiti. Ma forse questi sono solo pensieri da boomer o giù di lì.