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Roma: il divieto del self check-in
Claudio Visentin
Un cappello di Robin Hood e un cartello: «Basta affitti brevi!». In una via di Roma i proprietari di alcuni appartamenti hanno trovato questo messaggio al posto dei loro smart locker, rimossi dagli attivisti contrari all’Overtourism. Gli smart locker sono piccoli contenitori all’esterno degli edifici; si aprono con un codice numerico e permettono di ritirare le chiavi per accedere agli appartamenti affittati tramite Airbnb senza bisogno della presenza del proprietario. Sono dunque un semplice strumento, utilizzato anche per altre attività (dai corrieri a biblioteche e farmacie) ma, come spesso accade, sono diventati il simbolo degli affitti brevi, accusati di sottrarre abitazioni per i residenti, o di farne salire il prezzo esponenzialmente. In realtà il rapporto causa-effetto non è così chiaro, ma certo nella Roma che si prepara al Giubileo 2025 e all’arrivo di decine di milioni di turisti, l’emergenza abitativa è conclamata: migliaia di famiglie vivono sotto sfratto o in attesa di una casa popolare, a fronte di centomila appartamenti sfitti, molti dei quali utilizzati dai turisti.
Per una volta le autorità hanno seguito la via tracciata dai contestatori. Infatti qualche settimana dopo questi eventi il Ministero dell’Interno italiano ha vietato le cassette portachiavi e altri sistemi di self check-in. Ai proprietari (o gestori) degli alloggi si chiede di accogliere personalmente gli ospiti, per accertarsi della loro identità. Le motivazioni ufficiali sono di sicurezza pubblica, ovvero evitare che qualcuno possa prenotare e poi passare i codici a individui pericolosi o legati ad attività criminali.
La misura è severa perché tocca abitudini radicate ma ha un suo senso. Certo è parte anche di un più generale orientamento a limitare le attività di Airbnb, comune a molte città: oltre a Roma, Firenze, Venezia, Barcellona, Amsterdam, New York eccetera. Airbnb fu fondata nel 2007 a San Francisco da due ragazzi, Brian Chesky e Joe Gebbia, che faticavano a pagare le spese del loro appartamento in condivisione. In occasione di un’importante conferenza di design in città, quando tutti gli alberghi erano al completo, affittarono agli ospiti tre materassi ad aria (da qui il nome dell’azienda) nel loro soggiorno.
Gli inizi furono stentati e ci volle qualche tempo per convincere i padroni di casa ad accogliere sconosciuti, grazie a un sistema di recensioni per generare fiducia. Ma a partire dal 2010, grazie a cospicui finanziamenti, Airbnb ha cambiato ed esteso sempre più il suo modello operativo, espandendo l’offerta a interi appartamenti, case vacanze e altri tipi di proprietà. Il successo globale tuttavia ha lasciato in ombra molte incertezze che ora riaffiorano.
Un conto infatti è affittare occasionalmente una stanza della propria casa, dove si vive abitualmente, per integrare il proprio reddito e conoscere persone nuove; un conto è ricavarne in forma stabile un’entrata. Cambiano l’impegno, i requisiti dell’abitazione, le garanzie. Di fronte a una concorrenza di questa portata, bene fanno gli alberghi a chiedere regole simili anche per gli affitti turistici. Tornando all’esempio dal quale siamo partiti, in un hotel c’è sempre un addetto al ricevimento, anche di notte, e quindi è garantito il controllo dell’identità dei viaggiatori (e di eventuali accompagnatori).
La questione ci riguarda da vicino perché, dopo un avvio lento, il numero delle strutture attive sul mercato ticinese è in crescita: sarebbero circa 4500 gli alloggi destinati a uso turistico e posti in locazione su piattaforme online (30% del totale dei posti letto). Dal 2022 sono stati (opportunamente) posti dei limiti: massimo 6 posti letto (per tutto l’anno) o, se di più, solo per 90 giorni all’anno perché l’attività sia considerata accessoria e svincolata da requisiti rigorosi.
Gli smart locker saranno presto dimenticati, come tutto quanto fa notizia per un giorno. Ma la questione di fondo è qui per restare. Il digitale ha reso disponibili spazi prima poco sfruttati, ha svelato possibilità abitative delle quali non eravamo consapevoli. Ma ora il settore è in mezzo al guado: tornare indietro alla filosofia delle origini non pare possibile e dunque è tempo di accettare nuove responsabilità, di metterci la faccia: in questo caso letteralmente, aprendo la porta ai nuovi clienti.