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Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi scrivedo a: La stanza del dialogo, Azione, via Pretorio 11, 6900 Lugano oppure a info@azione.ch (oggetto "La stanza del dialogo")


Il Natale, l’amore e la nostra fragilità

/ 23/12/2024
Silvia Vegetti Finzi

Cari lettori, questa è l’unica lettera che mi sono inviata da sola. Dopo tanti anni d’ascolto, sento anch’io il bisogno di essere ascoltata. Non che abbia qualcosa in particolare da dirvi, non è successo niente di speciale è solo il desiderio di entrare in relazione con voi, di superare quell’approccio superficiale che ci fa leggere un articolo rapidamente per poi scordarlo altrettanto rapidamente.

Chi scrive ha sempre bisogno di essere letto, ne ha bisogno per dar senso al suo lavoro ma anche per il desiderio di essere compreso, apprezzato e perché no? Per ricevere un compenso. Ma ogni domanda rappresenta qualcosa di più profondo: una richiesta d’amore che attende di essere contraccambiata.

La cultura romantica ci ha abituati a rappresentare l’amore con un’immagine da scatola di cioccolatini: l’innamorato che, in ginocchio dinnanzi all’amata, chiede la sua mano. Uno stereotipo rassicurante perché ignora la complessità della relazione, il paradosso che cela. Chi domanda non si basta, altrimenti non chiederebbe nulla a nessuno. Eppure si sente capace di donare l’amore che non ha. Anche l’amata sente il bisogno di rispondere all’appello ma perché? Per ricevere dall’altro la sua parte mancante. Lo scambio non è tanto basato sulla pienezza quanto sulla carenza.

Platone, quattro secoli prima di Cristo, fa dire a Diotima, maga sapiente, che Eros è un demone figlio di Penia, la «povertà», e di Poros, «l’espediente», cioè la vitalità, la capacità di cogliere l’attimo fuggente. Platone attribuisce alle donne di amare col corpo, agli uomini di amare con l’anima. Ma ora sappiamo che i due elementi sono sempre inseparabili.

Mi soffermo su questa congettura filosofica perché libera l’amore dalle strettoie del romanticismo, dallo stereotipo: «io e te» ci amiamo, bastiamo a noi stessi, non abbiamo bisogno di nessuno. Forse può valere nell’euforia dell’innamoramento ma poi, anche nella coppia più affiatata s’inserisce un senso di solitudine esistenziale. L’amore non si può chiudere in cassaforte né garantire con una polizza assicurativa. È un campo aperto dove domanda e offerta sono sempre in gioco. Tutti abbiamo bisogno d’amare e di essere amati. E, quando questa sorgente s’inaridisce, subentra un doloroso senso di solitudine.

Nella rivisitazione della «Stanza del dialogo», la solitudine è l’argomento più frequente e accorato delle vostre lettere. Uno stato d’animo che non sempre coincide con l’isolamento. Ci si può sentire soli in famiglia, in coppia, in gruppo, durante una festa. In questo senso Natale è una ricorrenza che accentua la nostra fragilità.

Gli anziani, in particolare, provano nostalgia per gli anni belli, quelli trascorsi con i propri cari, quando la casa profumava di abete, le luci rallegravano l’atmosfera e l’arrosto dorava nel forno. Non è tempo perduto: lo abbiamo vissuto e sopravvive nel nostro ricordo. Certo, nulla è più come prima ma, come dicevo, si può donare quello che ci manca e ricevere dall’altro quello che neppure lui possiede.

L’amore è ovunque: fa vivere il mondo, godere del bene degli altri, apprezzare la bellezza che ci circonda. È nella natura, nell’arte, nella scienza, nell’empatia che fa sentire nostra la sofferenza altrui. Chi compie un gesto di cura, si prende cura anche di se stesso. Oltre ad aprire la porta, aprite le braccia. Troverete tante persone che chiedono un gesto d’amore. Donare ci fa sentire ricchi e la gratitudine ci fa sentire amati. In una società che invecchia, saranno sempre più le persone che vivono da sole ma non per questo si sentiranno sole se inserite in una rete di attenzioni e di affetti. Per sconfiggere l’ombra della depressione, cerchiamo di concentrarci sul bello della vita piuttosto che sulla paura della morte. Impariamo a volare con l’ala che ci resta. Se attiviamo le risorse di amore che abbiamo in noi, amandoci per quello che siamo, amando per quello che possiamo, accogliendo l’amore dell’altro per quanto ci può dare, vedremo che il tutto abita dentro di noi.

Mi scuso per avervi inviato una predica non richiesta ma talvolta le parole parlano da sole e le mie vi augurano tutta la felicità che ci è concessa. Grazie per avermi ascoltata e, spero, compresa.