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La resistenza georgiana: «L’Europa o il buio!»
Paola Peduzzi
La resistenza georgiana protesta tutte le notti da quando il partito al Governo, Sogno georgiano (nome davvero poco rappresentativo), ha annunciato che il processo di adesione all’Ue è stato sospeso fino al 2028, che è come dire: voltiamo le spalle all’Europa. In realtà Sogno georgiano volta le spalle anche alla Costituzione, visto che l’articolo 78 garantisce di seguire la via verso l’integrazione europea. E volta le spalle ai georgiani, dopo averli truffati due volte al voto che si è tenuto il 26 ottobre scorso. La prima truffa era nei cartelli e nei volantini elettorali di Sogno georgiano che avevano come sfondo la bandiera georgiana che si fonde con quella europea, a sancire la volontà di avvicinarsi all’Ue. La seconda truffa è stato il voto, con sospetti di brogli da parte del partito di Governo che non sono stati indagati: anche al netto dei brogli, il consenso per Sogno georgiano è stato ampio (non la maggioranza in ogni caso) e questo argomento viene utilizzato a sostegno della legittimità del Governo. È plausibile però che questo sostegno sia stato determinato dall’opportunità europea che non è solo una bandiera ma è prosperità, libertà e soprattutto è un passo lontano dalla Russia che incombe minacciosa sulla Georgia di cui occupa il 20% del territorio.
La resistenza georgiana è ora più ampia rispetto alle proteste della primavera scorsa: è in molte città, non soltanto a Tbilisi, e comprende giovani e anziani di tutte le estrazioni sociali, perché il tradimento della promessa europea è sentito da tutta la società civile. Il Governo risponde con le botte e gli arresti per cercare di intimidire la resistenza che risponde organizzandosi e documentando la repressione: le immagini dei volti tumefatti, dei nasi rotti, delle ferite sono pubblicate dalle emittenti non controllate dal Governo e sono state appese anche sulla struttura dell’albero di Natale a Tbilisi. In due settimane ci sono stati più di 400 arresti: non c’è ricordo in Georgia di numeri simili, se non ai tempi di Stalin.
«Ora o mai più» dicono i manifestanti: una volta che si chiude la finestra europea l’alternativa resta soltanto la Russia, cioè il buio. La Georgia è stata invasa da Vladimir Putin nel 2008, prima dell’Ucraina, la sua sovranità è stata violata: ha perso due regioni, l’Abcasia e l’Ossezia del sud. Nel 2003 c’era stata la Rivoluzione delle rose, anche allora nata in seguito a brogli elettorali. Fu una protesta pacifica e vincente ed è a questa che s’ispira la resistenza di oggi, a dimostrazione di una tendenza filo occidentale che c’è da sempre e che Sogno georgiano, fondato da Bidzina Ivanishvili, un oligarca che ha fatto la sua fortuna in Russia, vuole cancellare. Lo fa con ogni mezzo: al Museo nazionale sulla arteria principale di Tbilisi, quella dei palazzi istituzionali e delle manifestazioni, nella sezione dedicata alla memoria dell’occupazione sovietica dagli anni Venti agli anni Novanta del secolo scorso – un viaggio nell’orrore in cui ricorrono volti, nomi, tragedie, appelli a un Occidente distratto – è stata tolta l’ultima parte. Quella che raccontava l’invasione russa del 2008 che, secondo il revisionismo dell’attuale Governo, è stata causata dai georgiani stessi, allora guidati dal presidente filo occidentale Mikhail Saakashvili. Per arrivare a nuove elezioni, che è l’obiettivo delle manifestazioni, la resistenza ha bisogno del sostegno americano ed europeo, ora piuttosto tiepido. La cautela, come accaduto anche in passato e anche in altri Paesi che subiscono l’ingerenza russa, continua a essere prevalente, nonostante i tanti comunicati di solidarietà. Alcuni Governi occidentali hanno preso iniziative, i Paesi baltici – come accade anche nella difesa dell’Ucraina – sono in prima fila e i loro leader sono andati più volte a Tbilisi a sostenere la resistenza. Ma un’azione collettiva non c’è ancora, mentre le botte e gli arresti sì, ogni notte, da parte della polizia e degli «uomini in nero», i titushki, i picchiatori con il passamontagna. L’attuale presidente filoeuropeista, Salomé Zourabichvili, ha detto di non voler lasciare il suo posto perché deve difendere le istituzioni e i georgiani dall’abuso di potere di Sogno georgiano. C’è bisogno però di una pressione concreta da parte dell’Occidente, che può arrivare solo nel momento in cui c’è la consapevolezza di quel che c’è in gioco. Nino Haratishwili, scrittrice georgiana che vive a Berlino e scrive in tedesco, ha pubblicato un appello all’Europa sulla «Frankfurter Allgemeine» che finisce così: «Europa, rispondimi: quante altre vittime dobbiamo sacrificare per convincerti del nostro amore?».