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Quella segreta, inconfessabile ricerca dell’amore incondizionato
Benedicta Froelich
Non occorre certo essere degli animalisti sfegatati per rendersi conto di come, negli ultimi anni, le creature del regno animale abbiano spesso sostituito le controparti umane nel cuore d’innumerevoli persone, sempre più deluse (per non dire disilluse) dal contatto quotidiano con i propri simili e dall’apparente egoismo della società odierna.
La ricerca quasi inconsapevole di quell’amore incondizionato che solo un animale sa donare si è così estesa anche ai social network, decretando il successo sempre più travolgente di una serie di «influencer a quattro zampe», perlopiù cani e gatti, che oggi spopolano sul web alla stregua di veri divi, elargendo pillole di saggezza e infinito buonumore ai loro numerosissimi follower.
In realtà, il fenomeno era emerso già anni fa con l’avvento di celebrità di provenienza statunitense quali Lil Bub e Grumpy Cat, gattini affetti da particolari difetti genetici che li rendevano simili (nell’aspetto, ma non solo) a veri e propri personaggi da fumetto, al punto da figurare in innumerevoli meme creati da fan adoranti.
Tuttavia, negli ultimi due-tre anni il fenomeno ha assunto proporzioni inedite, dando vita a un vero e proprio «sottogenere» dalla rilevanza internazionale: basti pensare, tra gli altri, al vertiginoso successo del canale YouTube A Guy And A Golden, in cui Jonathan, padrone del Golden Retriever Teddy, investe una quantità immane di tempo e risorse nell’ideazione di video terribilmente sarcastici, in cui il suo cane e il meticcio Archie si dilettano nel giocare scherzi d’ogni tipo al proprio coinquilino umano; il tutto rivelando un’inventiva e abilità tecnica davvero notevoli, dal momento che le gesta di Teddy sembrano filmate senza l’ausilio di alcun effetto speciale o software d’intelligenza artificiale.
Di fatto, l’incredibile popolarità raggiunta da Teddy non ha nulla da invidiare ai più celebri tra gli influencer «umani», dal momento che le sue sortite in pubblico (a volte con indosso gli elaborati costumi che il padrone ama creare per lui) scatenano un interesse pari a quello suscitato da una rockstar in tournée.
Eppure, fenomeni del genere non sono limitati al mondo di lingua inglese: uno degli esempi più eclatanti nell’ambito italofono è infatti quello di Chico, giovane esemplare di Maltipoo (incrocio tra maltese e barboncino) caratterizzato da una parlantina esilarante, con tanto di accento smaccatamente romagnolo e particolarissimo gergo a base di onomatopee e storpiature varie.
Una creaturina che ha fatto in poco tempo la fortuna di Francesco Taverna, cantautore della provincia di Alessandria ormai noto come «papà di Chico» – il quale, oltre a donare la voce al proprio cane, si impegna nel concepire, per il suo protetto, avventure a cavallo tra sottile ironia e autentica dolcezza, cariche di buoni sentimenti e sentito affetto tra padrone e animale.
In effetti, ciò che più colpisce nel leggere i commenti ai video caricati sui vari social network sotto la dicitura Io sono Chico è il fatto che la maggior parte dei followers – o «frollowers», come li definisce il loro beniamino peloso – sembra ricercare, negli exploit del cucciolo parlante, una forma d’evasione che possa distrarre dalle difficoltà quotidiane per concentrarsi, sia pure per pochi minuti, su qualcosa di positivo e confortante, esemplificato dall’affetto che «papà» Francesco e la sua compagna provano per il proprio cagnolino.
E qui, in fondo, sta il segreto del successo di tali fenomeni: forse, ciò che noi tutti davvero ricerchiamo in questi eroi a quattro zampe è semplicemente quell’innocenza e semplicità che il mondo dello spettacolo convenzionale ha da tempo perduto.
Del resto, in contrasto con le folle di narcisisti ed egocentrici che si pavoneggiano su OnlyFans o TikTok, la naturalezza di personaggi quali Teddy e Chico, fatta di slanci genuini e della sincera, assoluta lealtà e abnegazione tipiche del genere animale, riporta alla mente i tempi più felici dell’infanzia – quando immaginare che un cane potesse parlare o guidare l’automobile non appariva poi così strano. Il che, di fatto, equivale anche a restituirci una tardiva possibilità di avvertire di nuovo il potere rigenerante dei nostri sogni di un tempo.