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Uscita di sicurezza
Cesare Poppi
Al momento di leggere queste righe il Vostro Altropologo di riferimento si troverà in qualche villaggio del Nord del Ghana – spero Nandom, nel Nordovest, verso il confine col Burkina Faso. Qui sarà ospite d’onore al funerale di una delle persone più straordinarie che sia dato incontrare in settant’anni di ricerche… antropologiche e meno.
Erano gli anni 60 del secolo scorso quando un missionario irlandese intento a portare a termine il processo di conversione dell’etnia Dagati dopo che negli anni 30 un’amministrazione britannica riluttante aveva finalmente aperto le porte alla missionarizzazione del Nord del Paese si presentò a Nandom. Cosa comportasse il divenire cristiani dei nativi già si vedeva in Africa Orientale, coi prodromi di quella che sarebbe diventata la rivolta dei Mau-Mau – «diventano cristiani e si mettono in testa strane idee sull’uguaglianza…», così nei circoli degli espatriati. Andarci piano con le conversioni, Ladies an Gentlemen. Bene: Edward Nminyuor Gyader, del clan dei Sacerdoti della Terra, autorità spirituale suprema da quelle parti, fu selezionato per essere scolarizzato in Europa e finì per studiare Medicina e Chirurgia all’Alma Mater di Bologna, dove si laureò nel 1972 per poi specializzarsi in Chirurgia Generale a Ferrara e a Padova. Per fare qualche soldo da mandare a casa, lui, grande sportivo, giocava nelle formazioni dei tornei estivi dalla mitica SPAL: mezz’ala a fianco di Fabio Capello. «Le risate che ci siamo fatti» – raccontava. Furono poi Cavalese in Val di Fiemme (Trentino), poi Moena (Val di Fassa) dove fu medico condotto quando ancora nessuno voleva andarci, per poi finire come Secondo Chirurgo al nuovo, grande Ospedale di Lamon, in Trentino. Antico Dispensario Antitubercolare fu affidato come Ospedale al prof. Lobbia, leggendario chirurgo padovano già chirurgo all’ospedale di missione a Damongo, nel Nord del Ghana.
Il professor Lobbia volle Gyader con sé, come secondo. Sulle prime nessuno – si racconta – voleva farsi nemmeno toccare dal Dottore Nero: i bambini al vederlo scappavano piangendo. Poi un giorno si trovarono in sette escursionisti in una baita in alta quota. Uno di loro si sentì male: Gyader capì che lo sforzo della salita aveva aperto un’ulcera e che l’amico stava morendo di emorragia interna. «Io qualcosa posso fare, ma non sarà piacevole». A mali estremi… e qui comincia la leggenda: grappa a volontà, poi braccia robuste. Gyader era un cacciatore e sempre aveva con lui un coltello ben affilato. Aprì, vide e tamponò. Il nostro se la cavò e sopravvisse. Qualche mese dopo alla porta dell’ambulatorio del nero c’era una fila. «Dicono che fosse perché era uno stregone» – raccontava un’anziana signora anni dopo a Cavalese, quando andai a riferire che Gyader era ancora vivo nonostante voci che lo volevano morto nel colpo di Stato dell’89. «Io penso, invece, che il dottor Gyader fosse un Santo».
Santo o meno (Edward era tanto devoto quanto schivo a farsi vedere alla prima messa quotidiana «perché sennò tutti mi saltano addosso per perorare questo e quello» diceva ridendo fra una birra Guinness e le tante altre a seguire) quando capitai nella Regione del Nord, Ghana, nel 1983, non sapevo nemmeno della sua esistenza. Poi la sorte mi impose di trasportare in moto il capo del villaggio dove stavo, che era affetto da prolasso anale, per 120 chilometri di pista poi strada bianca (infernali entrambe). Infilai chissà come i cancelli dell’Ospedale Regionale di Wa che era già buio. Poggiai piede a terra: moto, conducente, capo villaggio ormai mezzo morto dalla perdita di sangue (almeno aveva smesso di lamentarsi ad ogni buca) che avevo legato addosso – tutto collassò a terra, nella polvere. Ricordo vagamente un’infermiera che correva al soccorso profilata contro le ultime luci del tramonto… e un altro personaggio che la inseguiva urlandole che avrebbe dovuto chiamarlo prima – il tutto condito con improperi e peggio… E il tutto in Italiano. Allora mi dissi: «missione compiuta: adesso posso svenire». Dopo due ore eravamo – Gyader, capo villaggio quasi salvo e Altropologo quasi sano – seduti al Black Moses a raccontarcela. Era l’unico bar che avesse birra di frigo. Seccata una cassa, da qui ci trascinammo a dormire nei pressi dell’alba. Il resto è storia di una straordinaria amicizia.
Lascio un’Europa allo sbando ad una svolta terribile della sua storia. Altro fare ahimè non riesco/posso. Vado fra gente capace ancora – e nonostante – di voler bene al Forestiero: colui che viene dalla Foresta ai Villaggi di persone ancora civili. Ma usque tandem, Ladies and Gentlemen?