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Il conflitto interiore delle madri

/ 25/11/2024
Silvia Vegetti Finzi

Gentile Silvia,
è da anni che la seguo, e non ho mai avuto il coraggio o la voglia di scriverle ma il suo ultimo articolo «Le contraddizioni della maternità» ha svegliato qualcosa in me che desidero condividere con lei. Io, mamma di una bambina di 8 anni, avuta a 36 anni, dopo diversi tentativi, ho cercato a lungo la maternità ma, dall’altro canto avevo sempre una paura immensa per quello che poteva portare un passo così importante. Avevo una vita normale, una vita professionale molto interessante e piacevole e sapere di perdere questa tranquillità e cosa significa avere un bambino (ho avuto dei nipoti di cui mi sono occupata molto) ammetto che mi faceva riflettere molto sulla scelta di avere un figlio. Ma poi la società te lo impone: «Ancora niente figli?». Alla fine la mia splendida bambina è arrivata, parto veloce e divertente, tutto sembrava semplice. Ma appena si rientra a casa tutto è cambiato.
Come ha scritto Luciana: l’allattamento, i dolori, i pianti, la solitudine. È vero che nessuno ne parla, perché… non bisogna spaventare le future mamme, forse bisogna incoraggiarle, o no? Con il passare del tempo ti crei una routine ma poi comprendi che nulla è come prima. Ho avuto la possibilità di licenziarmi e stare con mia figlia e ne sono felice. Ma poi ti mancano i colleghi, arrivano i momenti di solitudine, manca la soddisfazione del lavoro, la possibilità di sentirsi qualcuno. Quando la bambina ha iniziato l’asilo, pur di stare con lei, ho trovato un lavoro al 35% che mi occupa tutta la settimana: orari da incastrare, mille corse da fare. Ne sono felice ma soffro nel sentirmi dire: eh vabbè ma tu non lavori, cosa sono 14 ore alla settimana e bla bla bla… perché le mamme sono sempre criticate? Perché piuttosto non vengono «applaudite»?
/Sara

Cara Sara,
la sua lettera sulle contraddizioni della maternità conferma e ribadisce le argomentazioni di Luciana. Nelle difficoltà di conciliare maternità e lavoro vi è però qualcosa di buono: la libertà.
Da secoli la maternità è stata il destino delle donne. Una volta sposate, non restava altro che accettare i figli che sarebbero arrivati, desiderati o meno. La modernità ha aperto nuovi ambiti di autonomia ai quali non vorremmo più rinunciare. Compresa la decisione di non diventare madri.

Tuttavia, come sanno gli psicoterapeuti, la libertà fa paura perché scegliere significa raggiungere alcuni obiettivi ma perderne altri. Assumersi responsabilità così importanti, come quella di mettere al mondo un bambino, non toglie nostalgie e rimpianti. Eppure, alla domanda «vorrebbe che suo figlio non fosse mai nato?», nessuna mamma risponde positivamente. Sente che la venuta al mondo del suo bambino risponde a una domanda interiore che il sogno rivela.

A questo punto che cosa vorrei dire a lei e a tutte le mamme in crisi? Che il confronto tra maternità e attività lavorativa è impari perché la prima nasce dall’inconscio, dal pensiero notturno, la seconda dalla ragione, dal pensiero diurno.

È vero, come reclamava Luciana, che la società deve aiutare le donne a conciliare i due ambiti. L’offerta di aiuti (abitazioni, asili nido, sovvenzioni e facilitazioni) è necessaria ma non sufficiente. Come mostra la sua lettera, vi è un conflitto interiore che si può risolvere solo nella mente e nel cuore delle madri. Aiutate in questo dal loro bambino che cerca in ogni modo di farsi amare dalla mamma.

Quando i bambini giocano o si esibiscono in qualche prestazione, non fanno che ripetere: «Mamma guarda, mamma guardami!». È su questa alleanza tra il desiderio dei genitori e il desiderio dei figli, che si fondano le relazioni familiari. Ma lasciatemi domandare, ancora una volta: «Dove sono i padri?». Nelle vostre lettere, care lettrici, risultano i grandi assenti. Eppure c’è bisogno di loro. Non solo perché danno stabilità economica e affettiva, ma anche perché, se vissute insieme, le responsabilità genitoriali sono meno pesanti e le gratificazioni più rilevanti.

Infine grazie a Luciana e Sara per aver posto, con l’efficacia della vita vissuta, questioni che coinvolgono tutti.