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Rivoluzione teatrale al ristorante

/ 25/11/2024
Bruno Gambarotta

Sono un pazzo per i miei colleghi. O, nella più benevola delle ipotesi, un visionario, un megalomane. E soltanto per un semplice annuncio: tempo fa ho deciso di mandare tutti i dipendenti del mio ristorante a scuola di recitazione. Oggi senza lo storytelling non vai da nessuna parte. Alla base della memoria umana c’è sempre una narrazione. In altre parole, di una cena in uno dei nostri ristoranti stellati i clienti ricordano l’accoglienza più che il cibo servito nei loro piatti. Vengono infatti da noi non per nutrirsi ma per provare un’emozione da raccontare agli amici. Come se il locale fosse il palcoscenico di un teatro dove tutti, clienti compresi, recitano una parte.

Uno chef alla terza generazione potrebbe contestare che «I clienti dovrebbero venire da noi non per recitare la vispa Teresa ma per degustare i nostri rigatoni alla norma o la nostra frittata di asparagi». Ma come lo spiega al cliente venuto apposta attirato dalla loro fama, che quella sera, per dire, i rigatoni sono finiti? Ve lo dico io: il maître dovrebbe chinarsi per sussurrare con complicità: «Se posso permettermi, visto che lei è un intenditore, questa sera la pasta alla norma non è venuta all’altezza della sua fama». E a quel punto scatterebbe il suggerimento di un altro piatto: «Ci sarebbero due proposte alternative che teniamo in riserva per chi come lei è in grado di apprezzarle».

Abbiamo iniziato coinvolgendo il personale di sala con giochi fin troppo ingenui. I clienti al loro ingresso incontravano, seduto a un tavolino, un indovino con le carte dei tarocchi rovesciate, tante quante erano le proposte del menù. Il cliente, invitato a sorvolare le carte con le palme delle mani, si fermava sulla carta che più l’ispirava. La voltava e scopriva qual era il piatto che i pianeti indicavano giusto per lui quella sera. Poi abbiamo alzato il tiro, dopo che un discreto numero di clienti aveva iniziato a ritornare per avere ogni volta qualcosa da raccontare. Abbiamo delimitato una parte della sala, così chi voleva essere protagonista e non solo spettatore andava a sedersi a uno di quei tavoli. La vera svolta si è verificata quando i più assidui si sono proposti di collaborare all’impresa. Per esempio portavano a cena un amico ancora ingenuo, che ignorava la specialità del locale. Ce lo indicavano e noi ci dedicavamo a lui, avendo i suoi amici come complici. Un esempio: il cameriere portava a tutti i commensali i piatti che avevano ordinato mentre il bersaglio dello scherzo si vedeva servire una portata agli antipodi rispetto a quello che aveva indicato e che non era neanche sul menù. Era per lui naturale rifiutarla ma il maître, chiamato in soccorso dal cameriere, giurava che proprio quel piatto era stato ordinato. Chiedeva quindi aiuto agli altri commensali che confermavano la sua versione. Così che il poveretto non solo finiva per mangiare il cibo non ordinato ma doveva anche trovarlo ottimo, dato che poi lo chef in persona, ideatore di quel piatto, si presentava ansioso di conoscere il giudizio di chi aveva avuto il coraggio di sceglierlo.

Per un po’ è andato tutto sin troppo bene; era inevitabile che prima o poi il giocattolo si rompesse.

Una sera la parte della vittima toccò a un trombone pieno di sé che, fra le sue tante virtù e attività politiche da sottosegretario, vantava anche quella di essere un cuoco di prim’ordine. Non riuscendo a individuarlo, il maître, dopo aver preso gli ordini, si affacciò dalla cucina, costernato, spiegando che il suo aiuto cuoco si era slogato una spalla per cui gli serviva aiuto per soddisfare tutti gli ordini. Chiese così se fra i clienti presenti ci fosse qualcuno disposto a dargli una mano, in attesa del sostituto… Gli sguardi dei compagni di merenda si rivolsero verso il trombone che proprio in quel momento stava vantando la sua bravura ai fornelli. Non poteva esimersi. Arrivato in cucina e indossato il grembiule, lo misero a cuocere le frittate, impresa non facile anche per chi è un cuoco navigato. Risultato: nel tentativo di capovolgere al volo la frittata, si rovesciò addosso l’olio bollente. Conseguenze: ustioni non gravi, un abito rovinato, indagine della squadra politica sull’ipotesi di un attentato, chiusura del locale per una settimana.

Per fortuna una buona notizia me la portò l’avvocato poco dopo: investitori americani decisero di aprire una catena di ristoranti Eleonora Duse affidando a me la direzione, in cambio della rimessa a saldo del conto delle multe e dei risarcimenti.