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Il lato oscuro degli algoritmi

/ 18/11/2024
Ovidio Biffi

L’ultimo aggiornamento sulle vicissitudini dell’editoria e della stampa scritta lo apprendo da «Charlie», la newsletter de «Il Post» di Luca Sofri: «Da pochi mesi il “New York Times” ha introdotto un nuovo algoritmo che gestisce la sua homepage, creando una distribuzione personalizzata degli articoli per ciascun lettore, così da spingerlo a rimanere più tempo possibile sul sito perché gli vengono offerti solo contenuti che dovrebbero interessargli». Vien da chiedersi se l’algoritmo non sia già attivo come editore. Seguendo gli ultimi passi compiuti dal «Nyt» sembrerebbe di sì, perché è facile indovinare, anche se si parla di creazione della prima pagina, che il progetto proseguirà puntando a un giornale personalizzato, cioè con contenuti e ovviamente anche orientamenti che l’abbonato predilige (qualcuno sta già portando avanti il lavoro anche da noi, nell’app della Rsi c’è un link che chiede all’utente quali notizie di cronaca vuole privilegiare). Sarà quella la via obbligata dell’informazione del futuro? Nessuno può offrire certezze, anche perché i tanto celebrati e perfetti algoritmi e l’intelligenza artificiale (Ia) stanno alimentando non solo la competizione tecnologica ma, in parallelo, conducono anche quella per il conseguimento del futuro primato geopolitico.

Credo di aver già descritto il mio primo incontro diretto con gli algoritmi, cioè con i procedimenti di calcolo che sono alla base della rivoluzione tecnologica in atto. C’entra il risotto. L’algoritmo, vale a dire «la sequenza di operazioni per calcolare e risolvere un problema», era quello che due tecnici dell’arte culinaria, Ricci e Ceccarelli, affermavano di aver usato per scendere più in profondità nella cottura del piatto tradizionale della cucina milanese. In realtà il loro algoritmo si limitava a schematizzare «alla maniera greimasiana» le varie operazioni della preparazione principale con i suoi sottoprogrammi (tritare la cipolla, far sciogliere il burro, incorporare vino e midollo ecc.) e l’operazione annessa (preparare il brodo)! Prima di quell’uso «sui generis» il termine algoritmo era collegato con l’irraggiungibile genio del matematico inglese Turing e con gli strumenti da lui usati per costruire una macchina in grado di superare l’uomo nel gioco degli scacchi, ignorando che gli sarebbero serviti anche per dare un durissimo colpo a Hitler e per porre le basi di quanto oggi ci viene proposto, e spesso anche imposto, come intelligenza artificiale.

Come insegna la storia, ogni nuova scoperta o tecnologia fa scattare anche la progettazione e lo sviluppo di un numero infinito di applicazioni e prodotti. La regola ha segnato anche l’evoluzione dell’Ia e degli algoritmi in informatica: dagli iniziali usi dei robot nelle fabbriche e degli avatar nei videogiochi in pochi decenni si è arrivati alla guida autonoma di veicoli e alle sofisticatissime consulenze per l’industria, finanziarie e alle applicazioni riguardanti servizi, armamenti e strategie militari del futuro. Inevitabile che questa galassia di impieghi e di complessi orientamenti toccasse anche l’industria dell’editoria con gli algoritmi applicati all’informazione digitale su Internet, causando devastanti scenari per la sopravvivenza della stampa, intesa come «fabbrica» dell’informazione, e dei giornali. Eppure Jeffrey Herbst, matematico presidente di Newseum, il museo interattivo dell’informazione con sede a Washington, in un saggio pubblicato una decina di anni fa prevedeva già che con gli algoritmi i cambiamenti in atto nel mondo della stampa avrebbero avuto effetti ancor più devastanti. Il suo avvertimento era basato sul fatto che Facebook aveva appena annunciato di aver implementato alcuni nuovi algoritmi per determinare chi degli utenti online leggeva uno specifico articolo de «The Washington Post» e quanto a lungo si soffermava su altri articoli o settori dello stesso giornale. Era l’avvio dell’editoria guidata dall’Ia. Sappiamo chi ha acquistato «The Washington Post» e sappiamo anche che Ia e algoritmi sono sempre più controllati dai miliardari proprietari dei social media (da Facebook a Instagram sino al famigerato X/Twitter di Elon Musk). Davanti a questi scenari, visto che chi ci guida – in Europa e sotto la cupola di Berna – pretende di controllare questi problemi limitandosi ad aggiungere zeri alle multe, c’è solo da sperare che un Turing del 2000 inventi un super-algoritmo che aiuti l’uomo a difendere libertà e diritti.