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Susie Wiles, la fautrice del successo di Trump
Paola Peduzzi
Susie Wiles è stata la prima nomina di Donald Trump per la sua nuova Amministrazione ed era sembrata una scelta di merito e di buon senso, quasi l’unica. Wiles, 67 anni, è stata l’architetta della vittoria del tycoon alle elezioni del 5 novembre e sarà la sua chief of staff, un mestiere già complesso reso ancora più difficile da questo presidente: il suo capo di gabinetto più longevo del primo Governo, il generale John Kelly, è durato quasi due anni e oggi dice che Trump aveva un’ammirazione per i generali di Hitler. A dire il vero, come consigliera, Wiles si è già mostrata resistente e soprattutto lo ha fatto vincere.
Figlia del giocatore di football Pat Summerall, è cresciuta nel New Jersey, ha iniziato a lavorare con i repubblicani ai tempi di Ronald Reagan e poi è andata a vivere in Florida, all’inizio per amore – si è sposata uno dello staff reaganiano da cui poi ha divorziato – e poi perché si è messa ad essere la più brava a costruire le campagne elettorali di sindaci, deputati, governatori. È stata chiamata anche da politici in differenti Stati, ha molti successi in curriculum, ma la sua base è rimasta in Florida dove è avvenuto nel 2016 il primo contatto con Trump. La sua assunzione nella campagna elettorale di otto anni fa, quella che pareva impossibile da vincere, era stata commentata con un certo spavento dai democratici che l’avevano vista all’opera, spesso come consigliera dei loro rivali. Riconoscevano che fosse molto brava. Si racconta che alla fine di quella campagna elettorale, quando appunto i sondaggi dicevano che Trump fosse sconfitto, Wiles chiese a Trump di finanziare un progetto di mail per convincere gli elettori ad andare a votarlo che era dispendioso. Trump si arrabbiò molto, Wiles pensò di andarsene, il progetto fu comunque approvato. Trump vinse la Florida e le elezioni. Nel 2018 Wiles fu assunta dal candidato governatore allora poco noto, Ron DeSantis, con il quale le cose andarono molto presto male, al punto che DeSantis, vendicativo, disse a Trump, con cui allora i rapporti erano buoni, di non farla lavorare più nemmeno per lui. Nel 2019, quando iniziò la campagna per la rielezione dell’allora presidente Trump, Wiles non era nel comitato elettorale. La separazione durò poco, Wiles tornò, ma è stato negli anni dopo la sconfitta del 2020, quando Trump si è trasferito a Mar-a-Lago, che si è cementato il rapporto di fiducia tra i due. Ben presto Wiles è diventata molto influente, restando però sempre riservata: testimoniò per ore davanti al grand jury per i documenti top secret ritrovati nello sgabuzzino degli ombrelloni nella villa-quartier generale di Trump, era con lui ad Atlanta quando gli scattarono le foto segnaletiche per il processo in Georgia, faceva da tramite tra il team degli avvocati e quello politico, decidendo di volta in volta come spendere i soldi che arrivavano per difendere l’ex presidente da quella che lui definiva la «caccia alle streghe» giudiziaria.
Le caratteristiche che la contraddistinguono? È calma, disciplinata, strategica e non ideologica. La sua calma, il fatto che nessuno ricorda di averla mai vista innervosirsi in pubblico né con lo stesso Trump, che è tutto istinto e ira, è spesso citata nei ritratti che le sono stati dedicati come la sua arma migliore. Lei sa mantenere l’ordine. Alla fine di questa campagna elettorale, quando Trump aveva adottato una retorica sempre più sprezzante, ostile ed eversiva, molti retroscena parlavano di liti continue dentro al comitato elettorale. Così Trump perde, dicevano alcune fonti anonime. Quando poi invece Trump ha vinto, ha cominciato a circolare la parola «disciplina» come ragione della gran vittoria: ancora una volta è stata Wiles a convincere gli elettori che, un conto sono le parole dette ai comizi, e un altro sono le priorità e gli obiettivi di una proposta presidenziale per tutto il Paese. Se molti elettori che hanno votato per Trump hanno spiegato di non essere stati condizionati dalle tante bugie e iperboli trumpiane ma al contrario ben impressionati dal fatto che mettesse economia e immigrazione in cima alle sue priorità, è grazie al lavoro nascosto ma indefesso di Wiles. Che a differenza dei tanti araldi del trumpismo, come il ciarliero e urticante Elon Musk, guardava alla strategia e non all’ideologia. Molti scommettono che Wiles, oltre al primato di essere la prima donna a ricoprire questo incarico, sarà anche una chief of staff con grandi probabilità di durare.