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Riccioli d’oro, da fiaba a modello turistico
Claudio Visentin
Conoscete la favola di Riccioli d’oro e i tre orsi? Riccioli d’oro un giorno si avventura nel bosco e trova la dimora dei tre orsi: Papà Orso, Mamma Orsa e Orsetto. In casa non c’è nessuno e la bambina comincia a curiosare in giro. Dapprima assaggia le tre ciotole di porridge. Quello di Papà Orso è troppo caldo, quello di Mamma Orsa troppo freddo; quello di Orsetto invece è a una temperatura ideale e Riccioli d’oro lo mangia tutto. Poi prova le tre sedie di casa: di nuovo quella di Orsetto sarebbe perfetta, ma purtroppo si rompe. Infine i letti: quello di Papà Orso è troppo duro, quello di Mamma Orsa troppo morbido mentre – ormai lo avete capito – quello di Orsetto è giusto e quindi Riccioli d’oro si addormenta. Ma quando i tre orsi tornano improvvisamente a casa il suo sonno si conclude con un brusco risveglio e la fuga.
Riccioli d’oro e i tre orsi è una favola molto amata, piacevolmente ripetitiva nel suo svolgimento. Come sempre ha una morale: insegna ai bambini la discrezione e il rispetto per i beni altrui. E tuttavia, per qualche misteriosa ragione, viene continuamente tirata in ballo quando si parla di turismo. Cominciò qualche anno fa Leo Hickman, il popolare giornalista del «Guardian». Hickman era particolarmente interessato al ricorrere del numero tre, tanto da immaginare un modello di viaggio «Riccioli d’oro» su base triennale: il primo anno ci si concede un lungo viaggio intercontinentale in aereo; l’anno seguente si visitano invece i Paesi vicini, col treno o l’auto; il terzo anno si resta nei confini nazionali, viaggiando a piedi, in bicicletta o coi mezzi pubblici. Il modello proposto da Hickman, oltre alla varietà, ha il pregio della sostenibilità: viaggiando meno ma più a lungo si riduce enormemente il proprio impatto ambientale (e oltretutto senza troppi sacrifici).
Altri invece hanno colto nella fiaba soprattutto l’insistenza sul giusto mezzo: né troppo caldo né troppo freddo (il porridge), né troppo grande né troppo piccola (la sedia), comodo il giusto (il letto). Sviluppando questa intuizione si parla ora sempre più spesso di «Paesi Riccioli d’oro», ovvero destinazioni con un buon equilibrio tra diversi aspetti: buone infrastrutture (aeroporti, strade, treni), alberghi confortevoli, un facile accesso alla rete, prezzi ragionevoli, sicurezza nella vita pubblica, una comunità locale vivace e ben disposta verso i turisti. Al tempo stesso però questi Paesi devono essere ancora poco frequentati e quindi risparmiati da forme di Overtourism. In questo modo c’è spazio per esperienze interessanti, piccole esplorazioni e scoperte personali. Bisogna insomma arrivarci al momento migliore del cosiddetto ciclo di vita della destinazione, quando si è conclusa la fase di scoperta ma prima del pieno sfruttamento turistico.
Sin qui tutti d’accordo; naturalmente poi i pareri divergono quando si passa agli esempi concreti, perché i criteri di valutazione sono inevitabilmente soggettivi. Quali sono i «Paesi Riccioli d’oro»? Di certo è troppo tardi per la Svizzera, il primo Paese turistico al mondo, sia dal punto di vista cronologico sia dei servizi. Un buon candidato, senza andare troppo lontano, potrebbe essere per esempio la Slovenia o la Croazia. L’Albania invece, pur assai apprezzata in quest’ultima estate, per molti potrebbe essere un po’ troppo… ruvida. Nel sud-est asiatico il Vietnam potrebbe farsi preferire alla troppo turistica Thailandia; e nell’America meridionale il Cile potrebbe offrire un’alternativa al Messico.
È facile continuare il gioco. Ma più interessante è cambiare prospettiva e considerare la questione dal punto di vista delle destinazioni, perché riconoscere di essere un «Paese Riccioli d’oro» potrebbe avere parecchi vantaggi. In quella fase infatti è ancora possibile abbracciare un diverso modello di sviluppo turistico, puntando sul cosiddetto «turismo rigenerativo» al posto del tradizionale turismo di massa. In questo nuovo paradigma si limita la crescita del numero di visitatori, così come il loro impatto ambientale e sociale, privilegiando invece la cura del territorio, la protezione dell’ambiente e la crescita delle comunità locali. È un’opportunità negata alle destinazioni mature e già consolidate; e un ultimo insegnamento per una favola che ne propone già molti.