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Sentimenti in chat e improbabili condivisioni

/ 11/11/2024
Lina Bertola

«Sono contenta di vederti, ero preoccupata, pensavo non stessi bene». Con queste parole vengo accolta da una gentile signora all’inizio di una riunione comune. Era davvero preoccupata, mi spiega poi, perché non aveva trovato nella nostra chat i miei auguri per Lucia che, proprio in quel momento, sta annunciando il suo ritardo. Le chat di gruppo sono un ottimo strumento organizzativo, non solo per annunciare ritardi, ma pure indicare disponibilità e stabilire gli orari degli incontri.

Mi ha lasciata molto perplessa invece il fatto che qualcuno si fosse preoccupato per la mia salute non avendo trovato nella chat il mio «auguri Lucia», accompagnato magari da una simpatica faccina, una bottiglia di spumante e qualche quadrifoglio. Gli auguri a Lucia li avevo fatti anch’io certo, ma in forma privata, scrivendo a lei soltanto, personalmente, un pensiero augurale. Anche in questa occasione mi era venuto spontaneo di non affidare alla chat i miei sentimenti, né a proposito di situazioni festose come questa, né tantomeno in occasione di avvenimenti tristi.

Queste mie ricorrenti reticenze e resistenze verso modalità «condivise» di comunicazione e di partecipazione mi hanno fatto riflettere sul valore e sul significato della condivisione.

Per restare nell’atmosfera di questa situazione festosa, prendiamo ad esempio una torta di compleanno. Riuniti a festeggiare, la dividiamo la torta, ognuno dei presenti ne riceve una fetta. Ciò che condividiamo è invece il piacere di gustarla, insieme con il sentimento di allegria che suscita lo stare insieme in quel momento. Condividere è «stare con», sentire la presenza dell’altro, in questo caso è guardarlo sorridere e ricambiare lo sguardo, magari anche abbracciarlo concedendosi un brindisi.

Come accade in molte altre situazioni, la condivisione è un sentire comune che si esprime nella fisicità dello stare insieme, un sentire che nasce dallo sguardo dell’altro che mi interpella, per dirla con Levinas, e dalla reciproca accoglienza. Quale condivisione è invece possibile nel continuo, a volte martellante annunciarsi, dentro una chat, di parole augurali accompagnate da faccine di ogni genere?

Lo squillo che scandisce l’arrivo di un messaggio non può che anticipare l’apparire di tante parole giustapposte, spesso uguali nella loro rituale ripetizione. In questo effluvio di parole, il proprio sentire, l’esporsi di sé all’altro, si trasforma facilmente in un’esibizione estemporanea della propria presenza, dentro uno scenario senza corpo, senza profumi né suoni. Senza risonanze.

Si scrive al volo dalla scrivania, o mentre si traffica in cucina, o in coda alla cassa del supermercato: così l’intimità di uno scambio si consegna ad un messaggio disincarnato, sospeso in un tempo indefinito, una specie di non tempo, che non può trattenere alcun accadere reale.

Chissà, magari Lucia i messaggi li leggerà più tardi, dopo che altri «concelebranti virtuali» avranno fatto la conta delle presenze. E potranno anche preoccuparsi per un messaggio non pervenuto, come la gentile signora che mi ha appena accolta. Il compleanno può diventare così una storia diversa, può trasformarsi in altre storie personali che ci allontanano, in qualche modo, dalla giornata di festa e dalle sue atmosfere; ciascuno se ne sta dentro la propria storia, in solitudine, in cerca o in attesa di improbabili condivisioni.

Queste forme surrogate di «condivisione» rischiano però di tenerci lontani dal sentimento di intimità, dalla discrezione e dal riserbo che alimentano legami veri. Lontani dal sentimento del pudore che protegge il nostro mondo interiore.

La scelta di scrivere i messaggi sempre in privato, in questo caso a Lucia, nasce proprio dal desiderio di contrastare questo rischio e di resistere a quelle sottili, quasi impercettibili minacce al sentimento di intimità, minacce sempre più presenti nel nostro modo di vivere e di convivere. Una postura spontanea che può aiutarmi a restare in contatto con l’altro, con l’autenticità e con l’unicità di ogni legame. Prendersi cura di legami veri, coltivare l’intimità con noi stessi e con gli altri, significa coltivare il riserbo e la discrezione per continuare ad abitare la soglia del nostro mondo interiore. Come ben sappiamo, questa soglia è divenuta molto fragile nell’attuale teatrino dell’esibizione, sempre più invadente, che mette in scena le nostre vite e ci spinge a rendere pubblico tutto ciò che viviamo nell’intimità, convinti che questo nostro continuo esibirci si possa magicamente trasformare in autentica condivisione.