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A letto con la contessa scaduta
Bruno Gambarotta
Frammenti di storie volano nell’aria, per strada, nei bar, nelle sale d’attesa, sui tram. Escono dalle bocche di esseri umani che, cuffie nelle orecchie, parlano con interlocutori lontani. Incrociandoli, catturo, se sono fortunato, l’inizio o la fine di una frase. Se sono fortunato quello spray di parole mi svela qualcosa che ignoravo. Come nel caso che sto per raccontarvi.
Passo davanti a un vecchio solitario seduto su una panchina che al cellulare sta commiserando un parente o un amico. Dice: «È stato sfortunato, ha sposato una contessa scaduta». Lo confesso: fino a ieri ignoravo che le contesse avessero una data di scadenza. Il vecchio ha usato il termine «sfortunato» perciò ne deduco che il suo amico ha scoperto l’inganno quando era troppo tardi per tornare indietro.
È andata così: allo sposalizio celebrato nella chiesa parrocchiale della contessa segue un signorile rinfresco per testimoni, parenti e amici. Finalmente i due piccioncini sono liberi di inaugurare la loro camera da letto nell’albergo cinque stelle. Lo sposo, non solo è un fervente ammiratore di Giacomo Puccini ma, ahimè, è convinto di avere superbe doti da tenore. Eccolo nel ruolo di Cavaradossi quando, in attesa di essere fucilato, ricorda la sua amante Tosca cantando la celebre aria Lucean le stelle: «O dolci baci, e languide carezze, mentr’io fremente le belle forme disciogliea dai veli». Mentre canta non tiene ferme le mani, anche se qui, al posto dei veli, c’è un busto. Tolto il quale, in alto sulla spalla destra scorge qualcosa che potrebbe essere una minuscola voglia. Non è il momento di indagare. Noi usciamo per discrezione da quella stanza e ci torniamo la mattina seguente, quando i due sposi sono ancora a letto. Lei dorme su un fianco mentre lui contempla la schiena nuda della consorte. Ha tutto l’agio così di scoprire che non di un micro difetto della bella epidermide si tratta ma di un minuscolo timbro con due righe di scrittura. Sulla prima riga: nome, cognome, titolo nobiliare, data e luogo di nascita della sposa; sulla seconda la frase: «Da consumarsi preferibilmente entro il 30 settembre 2024». Ma lo sposalizio è stato celebrato il 20 ottobre! Ben oltre la data di scadenza! Un tumulto si scatena nell’animo dello sposo: non erano questi i patti! Non ha dubbi: chiederà l’annullamento del matrimonio ma, gentiluomo di vecchio stampo, non rovinerà la luna di miele per una notte a quella moglie che forse è incolpevole. Solo quando i due sono seduti al tavolino della prima colazione, lui tenta una prima sortita esplorativa, con un tono leggero, come se parlasse delle previsioni del tempo: «Prima, quando ancora stavi dormendo, avevo davanti agli occhi la tua bella schiena e…»
Lei lo anticipa: «Hai scoperto che ho una data di scadenza». «Be’, sì. Perché non me lo hai detto?» «Cambiava qualcosa? Tutte le contesse ce l’hanno, lo sanno tutti». «Non proprio tutti, io per esempio lo ignoravo. E poi sulla tua schiena c’è scritto 30 settembre e ieri era il 20 ottobre». Lei ride, civettuola: «Stanotte ti sembrava di avere a che fare con una contessa scaduta?» «No di certo. Però dovevate dirmelo».
Lo Sposo pensa al negozio Bio dove un prodotto vicino alla data di scadenza viene venduto al 50% di sconto. D’ora in poi non toccherà più l’argomento, non vuole mandare in rovina la luna di miele. Ma appena rientrato in città, telefona dall’ufficio al cugino sacerdote che abita a Roma e lavora presso il Tribunale della Sacra Rota, per farsi indicare le pratiche per ottenere la «dichiarazione di nullità del sacramento del matrimonio», così figurerà come mai celebrato. Il prete ha bisogno di maggiori dettagli: «Una delle cause di nullità più frequenti è quella del matrimonio rato ma non consumato. Non è questo il caso». «È così. Qui i consumati sono addirittura due, il matrimonio e la contessa». «Già. Allora fra le tante cause ce n’è una sola che può fare al caso tuo: l’errore circa una qualità della persona. Ma non deve essere una qualità inessenziale, come nel caso di uno che si fa chiamare dottore e non è laureato, come capita a molti. Deve essere quella particolare qualità che ti ha indotto a sposarla».
«Perfetto. A sette anni un’indovina mi predisse che se avessi sposato una contessa avrei avuto una vita fortunata. Perciò l’ho sposata». «Se è così – lo rincuora il cugino prete – ci sono buone speranze. Domattina ti faccio sapere». L’indomani, mentre il nostro Sposo attende la telefonata da Roma, dalla strada sale un crescendo di voci, sono donne che innalzano cartelli: «Siamo tutte Contesse Scadute» e cantano Contessa di Paolo Pietrangeli. Telefona il cugino: «Niente da fare. La colpa è di quell’avverbio, “da consumarsi preferibilmente”. Non tassativamente».