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Elezioni americane: la partita resta aperta
Aldo Cazzullo
Ci siamo. La campagna elettorale è finita. Si vota. E si deve affrontare una domanda. Com’è possibile che Donald Trump abbia molte chances di vincere di nuovo? Non ci hanno forse raccontato che in America, se un politico mente al popolo, è finito? Trump ha mentito molte volte. È giunto ad avallare un tentativo di colpo di Stato eppure non ha pagato, anzi, non è mai stato così forte. In un mondo in cui la guerra nucleare non è mai stata così vicina. Eppure, nonostante le drammatiche notizie in arrivo dall’Ucraina e dal Medio Oriente, solo il 2% degli americani voterà pensando alla politica estera. Il 21% voterà per «la difesa della democrazia»: si tratta di democratici convinti che Trump rappresenti un pericolo per le istituzioni. Ma un’ampia maggioranza relativa, il 41%, voterà pensando all’economia. Perché l’America è sì una grande democrazia, ma è anche la prima potenza economica mondiale. È una democrazia capitalista, dove si vota sui prezzi, sui salari, sull’occupazione. E sulle tasse. Non a caso Trump promette una bella sforbiciata al fisco. E, sempre non a caso, il 50% degli intervistati sostiene che Trump governerebbe l’economia meglio di Kamala Harris; solo il 39% pensa il contrario, gli altri non si esprimono. E il sondaggio non è stato commissionato dalla Fox, la rete dei conservatori, bensì dalla Cnn, la rete dei progressisti.
Questo non significa che Trump vincerà. Significa che la partita è aperta e che noi europei fatichiamo a capire Trump e la «sua» America. Certo, il candidato repubblicano rappresenta una mutazione della destra americana. Aggressivo, arrogante, sbrigativo, semplificatore fino alla banalizzazione: pare fatto apposta per essere amato o detestato. L’establishment del partito lo detesta, per le stesse ragioni per cui la base lo ama: non è un politico di professione. Critica l’amministrazione Bush, ha irriso i candidati sconfitti da Obama nel 2008 (John McCain) e nel 2012 (Mitt Romney). Si muove come quello che è sempre stato: l’imprenditore di sé stesso, il venditore del proprio marchio. Uno che dice di sé: «Ho avuto milioni di donne, tutte quelle che ho voluto e anche di più». La maggioranza delle donne voterà per Kamala ma la maggioranza degli uomini voterà per lui. Tra i giovani vince Harris, ancora più nettamente tra gli under 24; ma i giovani votano meno degli anziani. Hillary Clinton ebbe tre milioni e mezzo di voti popolari in più ma per poche decine di migliaia di voti perse tutti gli Stati in bilico. Un allineamento astrale che non si ripeté nel 2020 e potrebbe non ripetersi neppure stavolta. Eppure è importante capire perché il voto del 5 novembre sia così in bilico. L’economia non è necessariamente «roba da repubblicani». Nel 2008, in piena crisi, Obama conquistò la più schiacciante vittoria democratica dal 1964. Ma quando l’economia va bene la priorità, più che gli aiuti, diventano i dividendi. Trump ha un piano di tagli alle tasse e di «reindustrializzazione del Paese» che piace sia ai lavoratori sia a un certo tipo di imprese, quelle più tradizionali.
Ma il suo piano include anche dazi destinati a provocare ritorsioni sui prodotti americani. Il trumpismo è «America first», cioè isolazionismo, protezionismo, prudenza o ritiro dagli scenari di crisi. Però la forza dell’America non è solo nelle basi militari e nelle portaerei. È nel fatto che le sue aziende tecnologiche, quelle che trainano la Borsa, hanno un mercato illimitato, da otto miliardi di consumatori. I padroni della Rete, del commercio elettronico, degli smartphone, dell’intelligenza artificiale sono riusciti a vendere i loro prodotti anche ai poveri, oltre che agli europei e ai Paesi in crescita. L’America resta la prima potenza mondiale anche perché è attrattiva. Se c’è una scoperta scientifica o un caso letterario, un vaccino o un prodotto high-tech, è da lì che viene. Puoi essere bianco o nero o giallo o meticcio, etero o gay o fluido o indefinibile, al sistema non importa, purché tu possa portare valore aggiunto. È un sistema che ha aspetti terribili, seleziona e scarta, considera la salute non un diritto ma un bene da comprare e da vendere, come il cibo e la casa. Ma è un sistema che più o meno funziona. Un tipo come Trump rischia di incepparlo; anche se il vero capo della destra globale, Elon Musk, lo appoggia. Se l’economia è leadership, egemonia, opportunità, visione, non è detto che Trump sia davvero il più adatto a gestirla. Ma l’economia non è solo questo. È anche meno tasse e più soldi in tasca, meno migranti non qualificati che abbassano salari e diritti, e più fabbriche di ritorno in patria. Su questo terreno Trump è considerato più credibile. A breve il verdetto.