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Le contraddizioni della maternità

/ 28/10/2024
Silvia Vegetti Finzi

Cara Silvia,
sono neomamma di un bambino splendido che abbiamo accolto con tanto amore. Siamo giovani e tutto è avvenuto così in fretta che non ho avuto il tempo di riflettere. Molti giorni resto sola (mio marito è spesso via per lavoro) e in quei momenti mi rendo conto che la sua nascita ha cambiato radicalmente la mia vita. E, complice la malinconia del puerperio, mi volgo indietro a rievocare gli ultimi mesi. Non avendo bisogno di guadagnare e volendo seguire mio figlio, mi sono licenziata dal lavoro, che mi piaceva tanto. Si parla sempre di Nidi non sento però nessuno che discuta sul fare i genitori in un mondo in cui non è previsto il tempo per farlo. Il parto è stato molto diverso da quanto raccontano sorridenti le neomamme su Instagram. Per non parlare poi dell’allattamento. Un incubo. Ma non voglio dilungarmi perché mio figlio mi ripaga di tutto. Tuttavia, le chiedo, non sarebbe meglio se le ragazze fossero più preparate ad affrontare la maternità, consapevoli di quanto costi?/
Luciana

Sì, sarebbe meglio soprattutto se servisse a chiedere alla società, rivolta al successo e al denaro, di prendere in maggior considerazione la maternità. Non credo che anche i neo padri, si trovino in una situazione ideale. Spesso le esigenze del lavoro e della carriera non tengono conto della dedizione che richiedono i figli. E, quando emergono le difficoltà dell’adolescenza, vorrebbero tornare indietro e, imparare a fare il padre dedicando più tempo alla famiglia. Ma non sempre è possibile recupere il tempo perduto.

In confronto alle generazioni precedenti, le donne attuali godono di maggior benessere, di cure migliori, di considerazione e opportunità. Eppure assistiamo al paradosso della denatalità, al problema dell’inverno demografico. Il rimedio sembra consistere in aiuti economici e sociali. Ma la sua lettera dimostra che non basta, che esistono anche altre carenze nell’impresa di diventare mamma: l’impreparazione, la mancata riflessione sulla consapevolezza delle contraddizioni della gravidanza, del parto e dell’allattamento, la solitudine, il rimpianto della vita lavorativa. Che fare? Integrare le necessità concrete con una cultura della maternità. Predisporre consultori che integrino l’assistenza medica con quella psicologica, stare accanto alle madri che, col primo figlio, devono reimpostare radicalmente il loro modo di vita. Per secoli questo tema è stato al centro della produzione artistica religiosa: templi, santuari, statue, dipinti sono stati dedicati alla Maternità della Madonna. In famiglia, il filo delle generazioni trasmetteva da nonna, madre, figlia, nipote l’esperienza viva e diretta del divenire madri. Le adolescenti ricevevano così immagini, pensieri, parole per predisporsi alla maternità. Ora le nostre ragazzine hanno tutt’altro per la testa: lo studio, l’autonomia, il lavoro, la carriera, il divertimento. Il loro corpo, che non ha mai provato le sensazioni e le emozioni suscitate dal tenere tra le braccia un neonato, non avverte neppure la pulsione istintuale. Alcune non sentono bisogno di mettere al mondo un bambino, altre ne avvertono il desiderio quando l’orologio biologico segna l’ultimo minuto.

Non possiamo dimenticare che, dinnanzi al progetto femminile di autorealizzazione, si aprono due strade: il lavoro e la maternità. Nessuna obbligatoria, nessuna gratuita. È sempre possibile scegliere una delle due, come stai facendo tu, accettando momenti di solitudine e di sconforto, oppure perseguirle entrambe. Il doppio impegno comporta un surplus di stanchezza, difficoltà nei confronti del marito e dei figli, sensi di inadeguatezza. Eppure molte donne che nel loro ambito hanno raggiunto i vertici del successo, dichiarano che la maternità è stata l’esperienza più importante e più felice. L’ideale sarebbe modulare gli impegni femminili secondo le fasi della vita. Offrire alle più giovani precoci opportunità lavorative, permettere alle madri di bambini piccoli di ridurre l’impegno extradomestico e a quelle mature, se lo desiderano, di mettere a frutto la loro esperienza anche dopo l’età della pensione. Questo programma, denominato «retravailler», permetterebbe di risolvere le contraddizioni. Spesso invece accade il contrario. Come vedi, per tante ragioni, sarebbe bene per le persone e la società affrontare la questione materna nella sua complessità, darle l’importanza che merita. Grazie della tua lettera coraggiosa e sofferta, spero incentivi altre testimonianze e mi auguro che, dopo il gelo dell’inverno, finalmente fiorisca la primavera demografica.