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Un anno cruciale nella storia d'Italia
Bruno Gambarotta
«Colpito in fronte da nemica palla»: inizia così una lapide marmorea fissata a uno dei muri perimetrali della chiesa della Madonna di Campagna, nell’estrema periferia di Torino. Recita: «Colpito in fronte da nemica palla / all’assalto di Perugia / lì 14 settembre 1860 / cadde ucciso alla testa / de’ suoi granatieri / il capitano / Tancredi Ripa di Meana / Fregiato d’onori / Alle guerre d’Italia / e di Crimea / la madre e la famiglia / tutta inconsolabile / unirono alla salma del padre / della sorella, dei nipoti / le onorate spoglie dell’amato / congiunto / che visse anni 32 mesi sei / nel compianto / implorano da Dio / la pace dei giusti».
Cerchiamo di inquadrare storicamente l’episodio. Il 1860 è un anno cruciale nella storia d’Italia. Il 6 maggio, con lo sbarco a Marsala, è iniziata l’impresa dei Mille di Garibaldi. La città di Perugia era sotto il diretto controllo della Chiesa, iniziato fin dal 1540. I soldati italiani si battevano per liberare quelle terre dal dominio del Papa Pio IX che il 26 marzo di quel 1860 aveva emanato una scomunica rivolta non solo alla persona del re Vittorio Emanuele II, ma in generale a tutti coloro che avevano contribuito a quel «sacrilegio». Lo Stato della Chiesa non aveva un suo esercito ma ricorreva ai mercenari svizzeri che quel giorno a Perugia dominavano il terreno dall’alto della Rocca Paolina, una grande fortezza architettata da Antonio da Sangallo il Giovane e costruita tra il 1540 e il 1543. L’edificio era di cinque piani sovrapposti con tutto un sistema di sproni e di casematte. Un’altra minore fortezza, detta la Tenaglia, era spostata a valle. Ora restano soltanto i muraglioni, è stata abbattuta dopo l’avvento del Regno d’Italia. I nostri granatieri avevano il compito di conquistare la Rocca Paolina. Luigi Bonazzi, nella sua Storia di Perugia scrive: «Per errato consiglio di una guida perugina, il nerbo delle truppe si diresse alla porta S. Margherita, più cancello che porta e quindi più facilmente atterrabile. Se non che, per atterrarla, dové fare una sosta, durante la quale, in quel luogo ampiamente scoperto, la truppa era esposta da più lati al tiro degli inimici, e specialmente dei frati di S. Domenico: e vi moriva tra gli altri un capitano piemontese».
Per sapere il nome di questo capitano dobbiamo ricorrere a un altro storico, Giustiniano degli Azzi, nel suo Per la liberazione di Perugia e dell’Umbria, che ci offre un profilo completo del nostro eroe. Azzi scrive: «L’ufficiale perito nel fatto d’armi di Perugia era il Capitano Tancredi Ripa di Meana, nato di nobile famiglia torinese il 12 marzo 1820 dal marchese Vespasiano e dalla marchesa Onorina Doria di Ciriè. Ai primi clangori di guerra per l’indipendenza corse ad arruolarsi come soldato volontario nel 1° reggimento Granatieri di Sardegna, e come tale combatté valorosamente in più scontri. (..) Promosso capitano il 15 ottobre ’59, entrato col suo reggimento nell’Umbria, cadeva d’un colpo di moschetto dinanzi alla porta di S. Margherita di Perugia, mente colla voce e coll’esempio eroicamente ne guidava e incoraggiava all’assalto i suoi granatieri».
Una testimonianza diretta la troviamo in una lettera alla madre scritta dal conte Antonio Visconti di Saliceto: «Alle 5 del 14 settembre si partì alla volta di Perugia. Il nostro battaglione, che si trovava all’avanguardia, aveva avuto l’ordine d’entrare in città non per la prima porta che si trovava, ma per l’altra a sinistra, che ha il nome di S. Margherita. Si videro in alto sulle mura della città gli svizzeri che ci aspettavano; ma noi si aveva avuto ordine di andare a Porta S. Margherita, e là bisognava andare. Quando fummo a tiro, essi ci fecero una scarica addosso, alla quale noi non potemmo rispondere, visto che eravamo in una posizione svantaggiosissima, perché dominati dal nemico e del tutto allo scoperto. Però ci facemmo coraggio e si corse alla Porta, sperando di trovarla aperta, o facilmente atterrabile; ma giunti colà, trovammo la Porta chiusa e fortemente sbarrata, e i nostri due zappatori e noi tutti, per quanti sforzi facessimo, non riuscimmo a nulla. Intanto il fuoco continuava da parte del nemico ed era così nutrito che pareva che grandinasse. Fortuna volle che di fianco alla Porta vi fosse un murello di cinta, dietro il quale, alla meglio, il battaglione poté porsi al riparo. (Con l’intervento di un cannone e dei soldati del Genio riescono a sfondare la Porta). La prima scarica, che ci colpì in pieno, mentre correvamo all’assalto, uccise il capitano Ripa di Meana, comandante l’VIII compagnia. Egli mi cadde al fianco».
Siamo all’ultimo atto: il 27 settembre il Regio Commissario di Perugia autorizza l’esumazione della salma del capitano e il suo trasporto sino al sepolcro gentilizio della famiglia Ripa di Meana nel cimitero della Madonna di Campagna presso Torino. Ecco spiegato il motivo della collocazione della lapide nella chiesa parrocchiale.