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Migranti, la politica del «purtroppo»
Carlo Silini
I populisti vanno forte in Occidente. Anche quando hanno palesemente torto, il tempo (cronologico) e i tempi (infami) che stiamo vivendo finiscono col premiarli. Non avevano sfondato alle ultime Europee di giugno e gli equilibri politici nel Parlamento europeo sono rimasti inalterati: l’avanzata della destra radicale non ha superato la «maggioranza Ursula» (von der Leyen). Ma intanto nei singoli Paesi europei hanno fatto man bassa di voti. Nelle regionali di settembre in Germania, Alternative für Deutschland (AfD) che alle Europee aveva avuto il 15,9% (in crescita di oltre il 5% dalle politiche del 2021), ha raccolto addirittura il 32,8% dei favori in Turingia, il 30,6% in Sassonia (un punto meno della Cdu) e il 29,2% in Brandeburgo (qui dietro l’SPD del cancelliere Scholz in crisi, come racconta Stefano Vastano a pag. 23). La scorsa settimana in Austria a stappare champagne è stato il Partito della libertà FPÖ, con il 28,8% dei consensi, davanti ai Popolari dell’ÖVP, partito del cancelliere Nehammer, attestati al 26,3% e ai Socialdemocratici dell’SPÖ, con il 21,1%. Non vuol dire che riusciranno a governare, visto che nessuno degli sconfitti pare volersi alleare con loro, ma questo nulla toglie al successo «di pubblico» di cui godono alle urne.
Ad accomunare AfD e FPÖ, ma anche buona parte dei partiti della destra vincente europea degli altri Paesi del continente c’è una narrazione demonizzante del solito e frusto tema della migrazione. L’AfD predica l’espulsione di massa, anche detta «remigrazione», di due milioni di persone a suo dire non sufficientemente integrate. L’FPÖ è una formazione anti-Islam e pro-Cremlino che ha condotto una campagna elettorale dominata dal dibattito sull’immigrazione sulla falsariga «remigratoria» dei cugini tedeschi, e dalla questione della dipendenza energetica da Mosca. Tutto questo mentre a metà settembre l’Olanda politicamente dominata dalla destra xenofoba e anti-Ue di Geert Wilders e l’Ungheria di Viktor Orbán, hanno chiesto di uscire dal Patto per la migrazione europeo, minacciando di inviare pullman carichi di migranti a Bruxelles.
I successi elettorali di queste formazioni spingono anche i partiti più moderati e aperturisti a rivedere al ribasso le proprie convinzioni e proposte politiche. Dal 16 settembre la Germania del socialdemocratico Scholz ha rafforzato ed esteso i controlli temporanei alle frontiere. E il premier britannico laburista Starmer, anch’esso assai criticato in patria, è andato a trovare Giorgia Meloni in Italia per prendere appunti sulla sua politica migratoria a dir poco restrittiva. Perfino la prima ministra danese socialdemocratica Mette Fredriksen ha ammesso che «dobbiamo purtroppo essere molto duri in materia di immigrazione».
Ormai, nelle politiche migratorie europee, la differenza tra destra e sinistra non la fa lo scarto fra visioni e soluzioni, ma quell’unico avverbio: «purtroppo». Perché «purtroppo» dire qualcosa di diverso non è politicamente pagante. Eppure gli arrivi irregolari in Europa sono diminuiti del 39% dall’inizio del 2024, come riferiva «Le Monde» il 2 ottobre. Certo, tutto può cambiare molto in fretta, visto che oltre un milione di sfollati cerca rifugio dal Libano dopo gli attacchi israeliani. Ma la retorica anti migranti è quasi sempre bugiarda. Per esempio, come ha osservato Milena Gabanelli sul «Corriere della Sera», il programma dell’AfD «rivela contraddizioni che minacciano i principi fondamentali della Costituzione tedesca e, se applicate, anche il benessere della ricca Germania e ancor più della fascia sociale ed economica a cui appartengono proprio gli elettori della AfD».
Chi mette maggiormente in pericolo la democrazia: chi fugge dai fronti di guerra infuocati o chi racconta ai propri cittadini in difficoltà che tutti i loro problemi spariranno cancellando i migranti?