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Non si accettano lezioni

/ 30/09/2024
Paolo Di Stefano

Tutte le ragioni ad Adriano Sofri (5+), che sul «Foglio» dedica la sua rubrica quotidiana a un’incongruenza, a una bizzarria o a un interrogativo ben aderente alla realtà (2 alla realtà). Qualche giorno fa si è concentrato sulla fierezza inspiegabile dei politici (sono tanti) che affermano: «Non accetto lezioni da nessuno». A non accetta lezione di morale da B, B non accetta lezioni di geopolitica da A e da C, C non accetta lezioni di civiltà da A e da B, C ricambia e tutti ricambiano il rifiuto di ascoltare l’altro e magari (se proprio capitasse) di imparare qualcosa di utile nella vita (anche se a insegnartelo è il tuo avversario elettorale). C’è poi chi (Meloni) afferma perentoriamente che non accetta lezioni su niente da nessuno: «Faccio di testa mia». Sottinteso: prendo lezioni solo da me stessa. Un’autentica lezione di intelligenza e di democrazia.

Con questo bel motto, il suo governo avvia una riforma scolastica epocale. C’è da sperare che nessuno (neanche sua figlia) prenda lezioni da lei. Se l’esempio arriva sempre dall’alto, scolari e studenti avrebbero gioco facile ad affermare che anche loro se ne guardano bene dal prendere lezioni da qualcuno, e tantomeno dai professori. I quali, per diventare professori, avranno pur accettato di prendere lezione da qualcuno, non essendo necessariamente autodidatti. Immaginate se Dante avesse urlato a Brunetto Latini: «Io non prendo lezioni da nessuno». E lo stesso avesse detto Giotto a Cimabue. E se l’allievo di Michelangelo avesse lanciato un martello sul ginocchio del suo maestro urlandogli fieramente: «Io faccio di testa mia». Il mondo, visto che fino a prova contraria procede per trasmissione di conoscenza (ovvero a forza di lezioni reciproche), si sarebbe fermato. In effetti, le virtù dilaganti nel nostro tempo, prepotenza e narcisismo, non favoriscono l’umiltà che ci vorrebbe per sedersi un attimino (non di più, per carità) e ascoltare una voce che non sia la propria. Umiltà scambiata per umiliazione.

«Sappiate ascoltare e vi accorgerete che il silenzio a volte produce lo stesso effetto della scienza», scrisse Napoleone al viceré d’Italia, principe Eugenio. Un genio, Napoleone, ma nulla, ovviamente, rispetto a Giorgia che, dopo la missione americana della scorsa settimana, pur non avendo preso lezioni da nessuno ha pronunciato queste acute parole: «Elon Musk è un vero big» (1 alla frase e a Musk). Tutta farina del suo sacco, di Giorgia. Forse l’ha scritto anche sui social, forse persino su quello di cui è proprietario Musk, che è proprietario di quasi tutto quel che usiamo, mangiamo, tocchiamo, respiriamo, indossiamo. Devo ammettere la mia debolezza: ogni volta che mi capita sott’occhio un video o una fotografia o una frase o un sorriso di Musk (cioè a quasi tutte le ore del giorno e della notte, ormai anche nel sonno), mi sale un brivido alla schiena, tra terrore e disgusto.

Ognuno di noi nutre i suoi disgusti: ecco, devo confessare il mio per Musk, che a mio modestissimo parere incarna tutto il peggio (quel che io ritengo il peggio): la prepotenza del potere e l’arroganza del denaro, che singolarmente sarebbero già pericolosi ma sommati diventano micidiali. Figurarsi se si aggiunge quel tanto di follia che traspare dal suo simpatico sorrisino. In più mi sono reso conto l’altra sera, lasciando cadere un’occhiata distratta alla tv, che Musk è altissimo (sarà alto tre-quattro metri, immagino), una specie di orco delle fiabe. Fatto sta che non viviamo in una fiaba ma nella realtà (2), e se intravedo una Tesla per strada tendo a girare lo sguardo. Anche se fossi in una fiaba, prenderei lezioni da tutti, tranne che da Musk. Vedere, il giorno dopo, nelle prime pagine il titolo «Ballo in Musk» (1) sopra la fotografia di lui con Meloni, mi ha provocato un lieve sudore freddo alle tempie. Si attendono altre trovate geniali, tipo: «Mask di sangue», «Musk antigas», eccetera. Personalmente preferirei l’eufemismo «Musk di fango». Non è che i superpoteri degli altri imprenditori hi-tech, i vari Zuckerberg, Gates e Bezos, mi paiano fenomeni promettenti per l’umanità, ma Elon Musk, nel suo presentarsi come il must oltre che il Musk, ha qualcosa di più perturbante: una specie di turbo capitalista pronto ad accendere il turbo del suo turbo capitale, dopo averci caricati tutti a forza su uno dei dieci missili che tiene in garage, per spedirci in pochi secondi su Marte al cospetto del suo odioso sorrisino. In compagnia del quale rimarrà finalmente solitario turbo padrone del mondo.