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Lo spirito indomabile di Angelica Balabanoff

/ 16/09/2024
Melania Mazzucco

Del giovane Mussolini, Angelica Balabanoff diventa anche la libera compagna. Tuttavia dovette negarlo sempre – perfino in tribunale, quando, anni dopo, la propaganda fascista cercò di liquidare la dura ostilità di Balabanoff per il Duce come la vendetta di una donna frustrata. Alle donne sole, o il cui fascino non è fisico ma intellettuale, si infligge ogni derisione. Comunque è lei che con la sua sapienza politica e la fedeltà alle idee plasma l’oscuro militante di Forlì. «Se non l’avessi incontrata in Svizzera» – riconobbe Mussolini – «sarei rimasto un piccolo attivista di partito, un rivoluzionario della domenica». È una colpa che Angelica non potrà mai perdonarsi.

Ormai politica di caratura europea, viaggia incessantemente, per raccordare i socialisti italiani, austriaci e tedeschi: ma quando nel 1909 i riformisti del PSI vincono le elezioni con un avanzato programma sociale, rientra in Italia. Tuttavia è marxista e rifiuta di collaborare col governo borghese. Dopo la guerra di Libia, nel 1912, la sua fazione rivoluzionaria diventa maggioritaria ed entra, con Benito Mussolini, nella direzione nazionale del partito. Quando gli propongono di dirigere «L’Avanti!», lui accetta, ma a condizione che anche Balabanoff metta la sua firma. Angelica acconsente, per disciplina di partito. Lavorano insieme fino a notte in una stanza di via san Damiano: le loro scrivanie si fronteggiano. Lei gli revisiona gli editoriali (considera debole la sua cultura rivoluzionaria), ma in realtà è lui che si serve del prestigio della russa per attuare il suo disegno di emarginare i riformisti e aprire il partito ai sindacalisti rivoluzionari e agli anarchici.

L’alleanza presto si scioglie: non solo per divergenze politiche. Mussolini viene invitato nei salotti di Milano: il «selvaggio» direttore de «L’Avanti!» affascina. Più di tutti, la giovane e ambiziosa Margherita Sarfatti, colta esponente della borghesia ebraica veneziana. Mussolini comincia a frequentarla. Le due donne si detestano. Nella biografia Dux, Sarfatti definì Angelica «piccola e deforme», «dal misero faccino grigio», «squilibrata e fanatica» e, «zitella». Tuttavia rese omaggio alla sua intelligenza e al potere magnetico della sua oratoria.

Balabanoff lasciò il giornale, e la Prima guerra mondiale la divise per sempre da Mussolini: lei rimase pacifista e internazionalista. Nel 1917 aderì al Partito Operaio Socialdemocratico Russo Bolscevico, e riuscì a rientrare in patria per contribuire alla costruzione dello stato rivoluzionario. Nel 1919-20 fu scelta come segretaria della Terza Internazionale. Ma la Repubblica dei Soviet di Lenin e Trotzkij non somigliava allo stato proletario che Balabanoff sognava. Lenin aveva grande rispetto per lei, ricambiato: ma non riuscì a trattenerla. Angelica aveva accettato la violenza e il terrore rosso, indispensabili al successo della rivoluzione. Anche suo fratello, in Ucraina, era stato assassinato, né lei usò il suo potere per aiutare i parenti, ridotti alla fame. Ma la brutale repressione della rivolta di Kronstadt (1921) e la distruzione del partito socialista italiano per volontà dei bolscevichi spensero le ultime illusioni: chiese di lasciare la Russia. Lenin glielo concesse. L’attendeva il più duro esilio. L’amata Italia, dove il fascista Mussolini era ormai al potere, le era interdetta. Approdò in Francia – in miseria: dal 1917 non percepiva più il vitalizio, e non aveva un lavoro. Nemmeno il denaro per mangiare o affittare una stanza. Continuò l’attività fra gli esuli, sempre più sconsolati, e per giunta infiltrati da spie fasciste. Nel 1935 emigrò in America. Scrisse un pamphlet contro il Duce, profetizzando – invano, come Cassandra – la distruzione dell’Europa.

In Italia è rientrata dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il socialismo americano, democratico e pragmatico, l’aveva vaccinata contro il comunismo. Scommise su un giovane politico, Giuseppe Saragat. Lo seguì nel nuovo partito, ma poi si sentì tradita anche dal suo ultimo pupillo. Era ormai una sopravvissuta. Nessun editore importante volle ristampare le sue Memorie di una rivoluzionaria. Il suo biografo, Amedeo La Mattina, racconta che la sua ultima parola fu «mamuška»: mammina. Non una richiesta di perdono. Ma un ritorno alla lingua perduta: a casa… (Seconda puntata – fine. Link alla prima puntata).