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Il richiamo della foresta populista

/ 09/09/2024
Aldo Cazzullo

Tra le cose che mi ha raccontato Tony Blair in una recente intervista, ce n’è una che mi ha colpito in particolare. Blair è l’unico leader progressista ad aver vinto tre elezioni consecutive nel dopoguerra. Ha potuto farlo perché ha rinnegato lo statalismo, il socialismo vecchio stampo, la visione per cui più è grande lo Stato, più è giusta la società, e il business è un nemico. Mi ha detto Blair: oggi esiste un populismo di sinistra e anche un populismo di destra. I conservatori sono diventati populisti. Il patriottismo diventa nazionalismo, diventa il rifiuto di qualsiasi istituzione sovranazionale, dall’Onu all’Ue, e il dovere di governare bene diventa rigetto delle élites.

È quello che è accaduto alla destra francese e tedesca, in particolare nei Länder dell’est. In Francia la destra neogollista che conquistò l’Eliseo con Pompidou, Chirac, Sarkozy, quasi non esiste più. Al suo posto c’è la destra di Marine Le Pen, che nasce dal rifiuto dell’immigrazione e dell’integrazione europea. Eppure Le Pen non ha vinto le elezioni legislative. Il suo partito è il primo di Francia, ma al secondo turno ha eletto meno deputati del Nuovo fronte popolare (Nfp) e dell’alleanza macroniana, e quindi non governerà il Paese. Il Nfp aveva proposto come prima ministra Lucie Castets, sconosciuta tecnocrate che per prima cosa vorrebbe abolire la riforma delle pensioni (Macron ha fatto sapere che non se ne parlava neanche). Alla fine a spuntarla è stato Michel Barnier, 73 anni, già negoziatore europeo per la Brexit nonché ex candidato alle presidenziali del 2022. Nel suo curriculum anche la vicepresidenza della Commissione europea. La nomina a premier di Barnier arriva a quasi due mesi e mezzo dalle elezioni. In ogni caso resta tanto da fare e non si capisce bene quale futuro attende il Paese. È probabile che nasca un Governo in grado di costruire alleanze punto per punto, attorno ai grandi temi: Ucraina, Europa, legge di bilancio, Medio Oriente. Uno scenario che avrà bisogno di un atteggiamento benevolo sia del Rassemblement national di Marine Le Pen, sia della France Insoumise di Mélenchon, che sognano di sfidarsi al ballottaggio delle prossime presidenziali. Insomma, c’è grande confusione sotto il cielo di Francia.

Ma la crisi tedesca sembra se possibile peggiore. In Turingia e in Sassonia i tre partiti di Governo – socialdemocratici, liberali, verdi – non arrivano al 15%. Vedere oltre il 30% un partito anti-antinazista come Alternative für Deuschtland (AfD) fa impressione. Finora la Germania era stata immune al virus del populismo di destra, il Paese era in salute, l’economia prosperava, l’egemonia sul resto d’Europa appariva indiscussa. Nel giro di pochi anni è cambiato tutto. L’eredità di Angela Merkel non era così solida. Le sanzioni alla Russia hanno messo in crisi l’approvvigionamento energetico, troppo legato ai serbatoi di Putin. La Germania viene considerata un Paese analogico in piena era digitale, ancora troppo legato all’industria manifatturiera più che alla nuova economia immateriale della finanza, del green, dell’Ai. E i Länder dell’est sono ancora molto più poveri di quelli occidentali. Anche per questo gli elettori non si riconoscono nei «partiti dell’Ovest», con la parziale eccezione della Cdu. Il risultato è un’impasse della costruzione europea, con i capi di AfD che dicono: «L’Europa ha bisogno della Germania, ma la Germania non ha bisogno dell’Europa».

Fino al 2022 i quattro grandi Paesi dell’Europa occidentale erano guidati da un Emmanuel Macron appena rieletto con ampio margine, da un Olaf Scholz che si era presentato come l’erede di Angela Merkel, dal socialista Pedro Sànchez non ancora indebolito e dall’europeista Mario Draghi: tutti e quattro solidali con Zelensky e la causa dell’Ucraina, della Nato, dell’Occidente. Adesso Macron è un presidente dimezzato. Scholz ha visto l’Spd – il partito più vecchio d’Europa, sopravvissuto a due guerre mondali e al nazismo, portato al Governo da figure di immenso prestigio come Willy Brandt e Helmut Schmidt – superato e umiliato dagli anti-antinazisti dell’AfD alle elezioni europee. Sànchez ha perso terreno rispetto alle politiche, quando è riuscito ad abborracciare un Governo con un voto di maggioranza. E l’unico partito di opposizione al Governo Draghi sfiora il 30%. Lo guida Giorgia Meloni. Resta da capire se seguirà la rotta atlantista ed europeista, o sarà sensibile al richiamo della foresta populista. Anche nei confronti della guerra russo-ucraina.