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L’hotel Rosenlaui
Oliver Scharpf
Pezzo storico della collezione permanente del Musée cantonal des Beaux-Arts di Losanna, Le glacier du Rosenlaui (1841) si trova al primo piano, seconda sala, della nuova sede accanto ai binari. Subito a sinistra, a fianco l’entrata, oltre a colpire per le sue dimensioni teatrali, attira per il suo stato in tormenta. Lo scorcio di paesaggio dell’Oberland bernese, esempio ideale del sublime teorizzato da Burke nel 1757, dove è raffigurato il Wellhorn con il ghiacciaio del Rosenlaui a fianco, è romanticizzato ancora di più dalle nubi minacciose, l’abete divelto, il torrente impazzito. Mi ricordo anche, nel dipinto di François Diday (1802-1877) visto l’inverno scorso, quattro capre indomite, su un masso della sponda sinistra del Rychenbach. A fianco del quale, sulla sponda opposta, cammino sul sentiero che costeggia un bosco di abeti. Di colpo, un bel mattino di fine agosto, si spalanca davanti il paesaggio dipinto da Diday.
La località del punto di vista del pittore ginevrino specialista del genere alpestre e maestro di Calame, si chiama Gschwantenmad. Sorprende la lingua di ghiacciaio con i rifessi bluastri e i seracchi bene in vista, pensavo più sulla via del tramonto. Nevai, invece, dall’altra parte, si accordano alle forme delle nuvolette. Sono però le cime degli abeti bianchi secolari, credo, a dare il tocco fiabesco a questo scorcio che supera, dal vivo, in questo caso, la pittura. Dal posto del dipinto all’hotel d’epoca, meta del mio ultimo viaggio in Svizzera, ci metto, a passo molto distratto, trentadue minuti. Sul percorso, poco prima di arrivarci, scopro scolpiti nella pietra, i nomi di Diday e Calame.
Il canton Berna, anni fa, ha fatto porre, nei pressi dell’hotel, a fianco della strada che da Meiringen porta a Grindelwald, una lastra commemorativa ora pervasa da un lichene rosso, in ricordo dei due «Alpenmalern». Partiamo bene: la torta di albicocche, all’ombra degli aceri fuori l’hotel Rosenlaui (1328 m) – le cui prime tracce, dopo la scoperta di una fonte termale, risalgono al 1771 – è abbastanza straordinaria. La camera dieci non è da meno. Sul balcone, innanzitutto, mi ritrovo davanti il Wellhorn in tutta la sua movimentata bellezza. Si aggiunge poi la carrellata degli Engelhörner aspri e aguzzi. Il panorama, così, ondeggia e mi fa venire in mente i paesaggi storti di Soutine. Metto la sedia di legno sul balcone e in boxer prendo il sole. Oltre al potere lenitivo delle conifere prevalenti, va annotata, qui, l’importanza degli aceri campestri che attenuano un po’ la troppa alpitudine mai andata tanto a genio.
Trovo un fiore sull’inferriata jugendstil del parapetto e qualche guizzo floreale sul fermapersiane. Una persiana è azzurra, l’altra verde. Mi sporgo e questa anomalia non è presente in tutte le camere di questo edificio risalente al 1905. Non ha nessuna importanza ma questa asimmetria cromatica mi consola. Mentre colgo con lo sguardo, dentro, diverse margherite di ferro avvinghiarsi intorno al tronco di un memorabile appendiabiti amatoriale. Il Rychenbach, con il suo scorrere potenziato da un ruscelletto laterale all’altezza del ponticello, entra nella stanza. Noto anche come Reichenbach, forma più a valle, sopra Meiringen, le cascate dove Conan Doyle ha cercato, invano, di liberarsi del suo eroe e questo scenario è stato il motivo mancato – sostituito da uno dei tre salotti di Sherlock Holmes esistenti al mondo – della prima tappa del mio tour de Suisse. Ritrovo, del tutto per caso, per la scale, la carta da parati floreale vittoriana. Il motivo: peonie. La zuppiera portata in tavola con cui io e gli altri quarantaquattro ospiti ci serviamo della zuppa di piselli e menta, per iniziare la cena, è degna di nota. Non mancano le candele, vietati i telefonini e in questo hotel più che d’epoca non ci sono televisori né internet, nessuna camera con bagno.
Prima dell’alba, dopo una ronfata ancestrale, alla luce degli abat-jour, nella sala di lettura-giochi – scacchi e Monopoly in giro sembrano fantascienza – butto un occhio alla biblioteca. A proposito dell’hotel Rosenlaui, in una guida intitolata Switzerland’s Mountain Inns (1998) di una coppia di americani, spunta l’aggettivo «inusuale». La treccia fatta in casa, a colazione, mi lascia senza parole. Dopo, trovo la fontana di acqua sulfurea, tenuta quasi segreta al pari dell’incredibile cascata nascosta.