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La veranda dell’hotel Fex

/ 26/08/2024
Oliver Scharpf

L’odore del fieno, una sera d’agosto, è la nota di fondo che persiste tra i vari elementi del paesaggio incorniciato da una veranda ultracentenaria di un hotel erratico alla fine della Val Fex. Come l’ultima luce in cima alle montagne, i lembi rimasti dei ghiacciai, il lariceto che si scurisce man mano. Seduto sulla veranda dell’Hotel Fex (1966 m) sorseggiando una verbena, sento poi i fischi delle marmotte sul versante opposto, la frizzantezza dell’aria, lo scorrere della Fedacla. Ma andiamo con ordine, partendo da questo pomeriggio, all’inizio di questo paesaggio illeso dal 1954. Quando, con un accordo tra il comune di Sils, Heimatschutz, Pro Natura, e Pro Helvetia, si è protetta questa valle laterale engadinese sopra Sils Maria non lasciando più costruire nessun’altra casa di vacanza, nessun posteggio, nessuno skilift né teleferica né tralicci dell’alta tensione. Le macchine passano solo quelle di chi ha una casa, gli altri a piedi, bici, in carrozza con i cavalli. Uno dei sentieri per la Val Fex inizia proprio alle spalle dei cocchieri che guardando il telefonino – e non il cielo come i contadini una volta – dicono «stasera piove». La prima sorpresa sono i fiorellini nero-porpora della Sanguisorba officinalis simili a palloncini in miniatura che punteggiano i prati. La Fedacla è grigioazzuro glaciale, nuvole in movimento riempiono di meraviglia, il buonumore del camminare qui mi porta a salutare tutti con «allegra!».

In mezzoretta neanche sono davanti alla chiesuola cinquecentesca di Santa Margarita a Crasta, sulla strada, a fianco dell’hotel Sonne del 1908. Se vi capita, buttate un occhio agli affreschi absidiali del 1511 dove oltre a tutti i santi eccetera, c’è un toro alato. Riconosco lo stesso verdino tundra visto negli affreschi dei mesi a Palagnedra, otto sedie di legno con cuore forato sullo schienale, attorno all’abside, contribuiscono a farne un luogo di sosta e di forza. Il versante brullo della valle glaciale a U è inquadrato da una finestrella a sud-est. A sud-ovest dell’abside, fuori, ci sono le ceneri di Claudio Abbado (1933-2014): celebre direttore d’orchestra e gran camminatore nei dintorni. Una parte, il resto è stato sparso in mare, al largo di Alghero. All’ombra di un larice, vicino alla terrazza del Sonne, nascosta sotto a un tavolino in pietra per pensatori solitari, solo i cercatori di minuzie o chi si sdraia spesso sul prato come me, scovano una lastra commemorativa posta per il neuropsichiatra infantile Martin Egger (1949-2011). Autore di La cura del bambino autistico (2006) che veniva qui ogni anno in vacanza con la moglie, co-autrice di Invenzioni nella psicosi (2008) dove si parla anche di Glenn Gould.

Partito alle 13.47, alle 14.58 – passando dal sentiero in alto nel bosco di larici al posto della strada come anni fa quando ho scoperto la veranda – sono all’hotel Fex. Spuntato qui, in località Curtins, nell’estate del 1904, ha una sua particolarità: sorto altrove, smontato, trasportato qui pezzo per pezzo, rimontato. A metà Ottocento era a St. Moritz-Bad, il concierge dell’Hotel Victoria, un certo Balthasar Arquint, se ne innamora, lo compra, e lo fa trasportare qui con i cavalli. Diciassette camere, hotel nostalgico tra rusticità da chalet e Bell’Epoque, struttura alare simmetrica coronata – al posto delle piode in ardesia locale caratteristiche della valle – da un tetto in lamiera che ricorda i rifugi di montagna. Dopo una torta di mirtilli non strepitosa ma in veranda, doccia, turbosiesta e poi, visto che c’è un gran sole e non piove per niente, una passeggiata senza zaino, a mente sgombra, semi-estatica, su verso l’Alp Muot Selvas. Al cospetto degli ultimi brandelli o barbagli dei ghiacciai: Tremoggia, Fex, Fedoz. E la corona sopra dei vari Piz che non so mai i nomi. Un anfiteatro montano che ritrovo in veranda, la sera, seduto a uno dei sei tavoli, in compagnia del profumo del fieno raccolto poche ore fa. Ci sarebbero anche le poltrone di vimini sparse sul prato per gli ospiti dell’albergo, però una veranda come questa provoca più raccoglimento, impone un’attesa, appostamento, studio, preghiera. I pilastri di legno verniciato inquadrano il paesaggio nell’ultima luce. Una frana nel riconoscere le montagne, percorro sicuro con lo sguardo almeno il Piz Salatschina. La pace però la cerco nel bosco di larici ora in ombra.