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La prudente arte divinatoria di Swiss Olympic
Giancarlo Dionisio
Abbiamo il potenziale per conquistare sette medaglie. Così aveva sentenziato Ralph Stöckli, capo della delegazione svizzera, alla vigilia della partenza per i Giochi Olimpici di Parigi. Ne abbiamo riportate a casa otto. Quindi, obiettivo superato? Mi permetto di dissentire. Sono convinto che Stöckli fosse consapevole di aver giocato al ribasso. Meglio restare cauti e gioire per tutto ciò che arriva in più, che non sparare alto e tornarsene a casa a testa bassa. Sono altrettanto certo che non sia stata la prudenza nelle previsioni ad aver condizionato le prestazioni dei nostri atleti. Va detto che, agli otto metalli, si è aggiunto un numero considerevole di medaglie di legno, compresa quella del nostro Noè Ponti sui 100 delfino. Sono dei quarti posti che bruciano, come quello del nostro nuotatore, o che incrementano motivazione e autostima, come quello, con tanto di record nazionale, della eptatleta Annik Kälin.
Se ci riferiamo al bottino medio di cinque medaglie per edizione estiva, non possiamo che essere ampiamente soddisfatti del risultato degli svizzeri. Se invece rivolgiamo lo sguardo a quanto conquistato tre anni fa a Tokyo, siamo costretti a ricrederci. Eravamo tornati dal Giappone con tredici medaglie, tre delle quali d’oro. Il terreno di conquista è grosso modo lo stesso, nel pieno rispetto delle nostre tradizioni sportive. Nel tiro, alla mancata conferma di Nina Christen (un oro e un bronzo in Giappone) hanno compensato l’oro di Chiara Leone e il bronzo di Audrey Gogniat.
Abbiamo inoltre ottenuto riconoscimenti nel canottaggio, nel triathlon, nell’equitazione, nel beach volley, e nel nuoto, con il bronzo di Mityukov, a fronte dei due riportati da Tokyo da Ponti e Desplanches. Nella bmx Free Style, il bronzo di Nikita Ducarroz, è stato sostituito da quello di Zoé Classens nella Racing.
Non serve il pallottoliere per capire che, per arrivare da otto a tredici, manca completamente il bottino del ciclismo. È vero che abbiamo dovuto far fronte alle assenze di Jolanda Neff nella mtb e di Marlen Reusser nella cronometro. Ma tutta l’edizione appena conclusa ha confermato quanto personalmente temevo da almeno un paio di anni: non siamo più la nazione faro nel fuori strada.
Siamo andati a Parigi con un campione indiscusso di 38 anni, e con un campioncino di 36. Nessun dubbio sul biglietto offerto a Nino Schurter. Il nostro portabandiera, sia pure in difficoltà contro avversari più esplosivi di lui, meritava l’ultima chance. Sia per quanto ci ha regalato da Pechino 2008 a oggi, sia perché, oggettivamente, rimane pur sempre il nostro numero 1. Mantengo invece le mie riserve sulla selezione di Mathias Flückiger, anche se, alla prova dei fatti, con il quinto posto, è stato il migliore dei nostri. Nelle selezioni aveva proposto un rendimento inferiore a quello del ventiseienne ticinese Filippo Colombo, sacrificato sull’altare di manovre personali e politico-societarie. Si dice che Swiss Olympic abbia voluto premiare Flückiger per l’assoluzione dal noto caso di doping. E pure che non si sia voluto attribuire i due posti a disposizione a due atleti dello stesso team. Facendosi beffe del fatto che tra Nino e Mathias non corre buon sangue.
Colombo, attualmente terzo nella classifica di Coppa del Mondo, la selezione l’avrebbe meritata. Non solo, su un tracciato come quello parigino sarebbe stato il più adatto dei rossocrociati nella corsa alle medaglie. Resta il fatto che, da alcuni anni, escluso lui, sia quantitativamente, sia qualitativamente, non siamo più capaci di formare nuovi talenti. Corridori strabilianti da juniores, come Joel Roth e Alexandre Balmer stanno naufragando nel mare della mediocrità. Qualche segnale incoraggiante giunge dal settore femminile, tuttavia, dopo aver occupato i tre gradini del podio a Tokyo, da Parigi siamo rientrati solo col settimo posto di Alessandra Keller.
Non credo che il valore di una nazione si misuri con i suoi risultati sportivi. Significherebbe ammettere che la piccola DDR fosse un modello di virtù. Tuttavia, in certe discipline, una relazione tra Campioni e bacino di utenza, mi pare individuabile. Non abbiamo vissuto l’effetto Federer. Ma l’incremento del numero di persone che passeggiano nei boschi in sella a una mtb, sinonimo di salute, dipende anche dai risultati di una generazione di fenomeni capitanata da Nino Schurter. Anche dall’avvento delle e-bike. Ovviamente!