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Un navigatore è per sempre
Bruno Gambarotta
Tema: «Le vacanze non sono più quelle di una volta». Svolgimento: È proprio vero. Una volta, tra tempo del lavoro e tempo delle vacanze, c’era una separazione netta. A Torino si andava in vacanza e si ritornava tutti nelle stesse date.
Alla fine degli anni 50 lavoravo in un’azienda grafica; se domandavo al padrone quando saremmo andati in ferie la risposta era: chiedilo alla Fiat, anche se il nostro lavoro non aveva niente a che fare con corso Marconi. A Ferragosto usciva sulla «Stampa» la foto di via Roma deserta e quella del piazzale Caio Mario piena di 600, i bagagli sul tetto e i famigliari in attesa degli operai in uscita dall’ultimo turno allo stabilimento Fiat di Mirafiori, pronti a partire senza passare da casa. I giovani esploravano i Paesi europei dormendo in tenda o negli ostelli della gioventù e i parenti restavano senza notizie fino al loro ritorno. Gli adulti e i bambini piccoli, arrivati nella località di villeggiatura si sistemavano e iniziavano i giorni di mare o di montagna scanditi su ritmi sempre uguali, bagno, pranzo, riposo, altro bagno, cena, passeggiata, gelato. Chi andava a trovare i parenti rimasti in campagna dava una mano nei lavori dell’orto o della vigna. Ricordo madri, cugine, zie, sorelle tutto il giorno sudate in cucina a fare conserve di pomodoro e marmellate. Si scattavano fotografie, poche però: pellicola, sviluppo e stampa costavano. Perciò niente tramonti o panorami, ma parenti e amici, seduti attorno alla tavola alla fine del pranzo, con la faccia bollita dal caldo e dal vino. Si giocava a bocce e a ping pong. E se faceva troppo caldo a scopa. Si compravano le cartoline «Saluti da Varigotti» (o da Bardonecchia) e si spedivano ad amici e parenti che le avrebbero ricevute mesi dopo.
Al ritorno si riprendeva subito a lavorare, non c’era tempo per raccontare le vacanze. Le famiglie benestanti possedevano il proiettore delle diapositive e invitavano gli amici a vedere quelle realizzate in vacanza e ad ascoltare il quando, il come e il perché da chi le aveva scattate. Molti trovavano una scusa per scansare quella penitenza. Poi tutto è cambiato in fretta. Il muro fra lavoro e vacanze è diventato liquido. Preso possesso della stanza d’albergo o del B&B, prima ancora di disfare le valige controlliamo se c’è il wifi per il computer da tavolo che non ci abbandona mai. Si può essere in vacanza e continuare a lavorare nello stesso tempo: cosa volete di più? Nelle nostre vite di vacanzieri sempre connessi ha fatto il suo ingresso trionfale il cellulare che ha svelato il nostro desiderio di condividere in tempo reale le nostre esperienze con parole e soprattutto immagini. Vale la pena andare in vacanza solo se nel viaggio o nel luogo di villeggiatura trovo qualcosa che vale la pena di raccontare. Per la verità tutto può diventare oggetto di narrazione: una pizza quattro stagioni, il passerotto sul davanzale, il suonatore di launeddas. La nostra preghiera del mattino è la consultazione della meteo, anche se dalla casa alla spiaggia ci sono 50 metri. Gli eventi atmosferici sono uno dei temi più ricchi di spunti. Ecco qui la foto di chicchi di grandine grossi come albicocche spedita da mio nipote. Non vedo l’ora di mostrarla ai miei vicini di sdraio allo stabilimento balneare.
Una bella tromba d’aria è una fortuna che capita a pochi, ma in futuro chissà. Un amico bloccato in autostrada da un gigantesco ingorgo, invia al mio cellulare una bella foto scattata stando in piedi sul predellino e io la diffondo in attesa che arrivi quella rubata scorrendo lentamente con la sua auto di fianco al mucchio dei rottami delle auto incidentate. Non c’è località di villeggiatura, grande o piccola, che non abbia il suo fitto calendario di eventi: musica, danza, teatro, incontri con autori. Vogliamo andare a tutti, non come semplici spettatori, ma per filmarli: una fatica bestiale. Frequentiamo i corsi dove insegnano a cucinare piatti tipici. Secoli fa andavamo a leggere i menù incollati sulle vetrine dei ristoranti prima di sceglierne uno, adesso per fortuna c’è Tripadvisor. È nato il culto del Navigatore, dio vendicativo. Siamo rimasti in pochi capaci di leggere le carte stradali del Touring e le insegne con la freccia e il relativo toponimo. Di ritorno da una gita in val Maira, seduto di fianco all’autista, giunti a un bivio, faccio notare che, mentre il navigatore ordina di svoltare a destra, l’insegna ha la freccia puntata a sinistra. Vengo aspramente redarguito: se ti affidi al navigatore deve essere per sempre, non puoi entrare e uscire a piacimento dalla sua guida illuminata. Un navigatore è per sempre.