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Tra l’ostinazione di Macron e la ferocia agonistica
Aldo Cazzullo
Che mondo si è visto alle Olimpiadi di Parigi? Non si sono visti i russi. C’erano una quindicina di atleti, senza bandiera, senza inno, desiderosi più di passare inosservati che di lasciare tracce. Cina e Usa sono state le Nazioni che hanno vinto più medaglie. La star è stata Simone Biles, la più grande ginnasta di tutti i tempi, che a Parigi ha conquistato tre ori ma è stata battuta alla trave da Alice D’Amato, la prima italiana a vincere una medaglia d’oro olimpica. Sono andati molto bene anche gli atleti francesi, in particolare l’eroe nazionale Leon Marchand, grande nuotatore. Il caso più discusso è stato quello di Imane Khelif, pugile algerina. La questione sarebbe semplice: Imane è una donna con alti livelli di testosterone. Non era l’unica ai Giochi. Ha sempre gareggiato, fino a quando il presidente russo dell’Associazione internazionale della boxe Umar Kremlev – molto vicino a Putin – l’ha squalificata, alla vigilia della finale mondiale. Kremlev ha sostenuto che Khelif avesse imbrogliato sul proprio sesso. Il Comitato olimpico l’ha smentito: la squalifica sarebbe dovuta a livelli troppo alti di testosterone; ma Kremlev non ha mai reso noti i risultati del fantomatico test. Così il Cio ha ammesso Imane ai Giochi. Peccato che sia Putin sia Trump – due tra gli uomini più potenti e spregiudicati del mondo – abbiano sentenziato che Khelif è un uomo. Non è vero; ma all’ideologia e al potere della realtà non importa nulla.
L’idea di tenere le Olimpiadi in una dimensione urbana, trasformando Parigi in un grande campo di gioco, era geniale. Purtroppo l’organizzazione a volte approssimativa ha prodotto vari disagi agli atleti e ai tifosi; a cominciare dal pasticcio del nuoto nella Senna. Si è speso quasi un miliardo e mezzo di euro per restituire il fiume alla città, renderlo balneabile, potervi tenere le gare di nuoto di resistenza; e poi ogni giorno si stava lì con la provetta in mano alla ricerca di batteri dai complicati nomi latini che potevano nuocere – e in qualche caso hanno nuociuto – alla salute degli atleti. L’ostinazione di Emmanuel Macron a voler tenere la cerimonia inaugurale in città ha creato gravi problemi ai parigini, senza dare in cambio vere emozioni a turisti e telespettatori. Il presidente francese è rimasto all’asciutto mentre i colleghi stranieri fuggivano o si beccavano la pioggia. Ha pronunciato la formula di apertura dei Giochi in fretta e in sussurri, per evitare i fischi che già si sentivano. Il regista della cerimonia, Thomas Jolly, aveva a disposizione il più bel palco del mondo: Parigi. L’ha sprecato con uno spettacolo troppo lungo, sfilacciato, a volte grottesco: Maria Antonietta con la testa in mano, l’ultima cena delle drag queen… Poi ha chiesto scusa e ha spiegato che non si riferiva ai Vangeli e neppure all’affresco di Leonardo da Vinci, ma al convivio degli dei. La cerimonia alla fine non era blasfema. Era brutta. E Notre-Dame, anziché essere valorizzata come cattedrale o almeno come scenario del meraviglioso romanzo d’amore Notre-Dame de Paris di Victor Hugo, è stata trattata come un laboratorio di falegnameria, con un interminabile video dedicato ai restauri. L’unico vero brivido dell’inaugurazione l’ha suscitato la cantante canadese Céline Dion: la malattia ha segnato il suo volto ma non ha domato il suo spirito, né spento la sua voce. L’Inno all’amore, cantato dalla Tour Eiffel, ha risvegliato lo spirito di Edith Piaf.
Tra i campioni che più mi hanno impressionato c’è Novak Djokovic. Ha conquistato l’unica vittoria che gli mancava, l’oro olimpico, a cui teneva moltissimo, visto il suo attaccamento alla patria serba. A 37 anni ha battuto un avversario di 15 anni più giovane, Carlos Alcaraz, più forte fisicamente e forse anche tecnicamente. Ha giocato meglio i punti importanti, e ha azzeccato la tattica: accorciare gli scambi, aggredire Alcaraz. Ma ha vinto soprattutto perché è stato il più forte di testa e di anima. Dicono che non sia simpatico. Ma un campione non deve essere simpatico. I campioni simpatici o sono dei miracoli come Rafael Nadal, o sono costruiti, finti, gestiti (non sempre bene). Un campione sa essere cattivo, non nel senso di mettere le dita negli occhi all’avversario, ma per la ferocia agonistica, che non è il contrario della bontà d’animo e non è sinonimo di scorrettezza. Proprio quella ferocia agonistica che è mancata a diversi atleti europei; per esempio l’Italia ha il record dei quarti posti (e Giancarlo Dionisio prossimamente farà il punto sulle prestazioni degli svizzeri).