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Bastone o carota per educare gli «spostati»?
Claudio Visentin
Il turista è, per definizione, uno spostato, dal punto di vista fisico e psicologico. Infatti si trasferisce temporaneamente in un luogo dove non ha legami lavorativi né familiari. E poiché non conosce le regole condivise, è incline a commettere errori, gaffe: come chiedere alcol in un Paese musulmano, oppure entrare in un edificio religioso con un abito troppo succinto. Anche lasciare la giusta mancia può essere un rompicapo; in alcuni Paesi è quasi obbligatorio, in altri no. Ed è noto come nell’India tradizionale e rurale non si tocca il cibo o non si passano oggetti con la mano sinistra, impura perché utilizzata per l’igiene personale. In un viaggio (ben) organizzato è più facile evitare errori, anche perché è minore il contatto con i locali; e naturalmente un poco di preparazione aiuta, anche se oltre un certo limite queste situazioni, spiacevoli ma istruttive, vanno forse accettate come parte inevitabile dell’esperienza del viaggio.
Un tempo, il turista poteva contare su una larghissima comprensione. Ogni suo comportamento era scusato e gli si chiedeva soltanto una minima buona volontà. Ma nel tempo dell’Overtourism le regole d’ingaggio sono cambiate e gli abitanti reagiscono spesso con fastidio, a volte anche passando anche alle vie di fatto; per esempio a Barcellona dei manifestanti, al grido di Tourists go home!, li hanno bersagliati con pistole ad acqua. In altri casi i turisti sono stati severamente multati per aver consumato cibi e bevande in luoghi storici (Firenze) o per aver fatto il bagno nelle fontane monumentali (Roma). Molte destinazioni, poi, fissano un tetto al numero di visitatori e ben che vada, come nel caso di Venezia, tocca pagare un biglietto, quasi a ribadire che la loro presenza dà fastidio e dev’essere compensata col denaro.
Da qualche tempo, tuttavia, una diversa filosofia sembra farsi strada, ovvero quella di premiare i comportamenti virtuosi piuttosto che sanzionare quelli inappropriati. Per esempio l’ufficio del turismo di Copenaghen promuove una variante del nostro Ticino Ticket, il pass gratuito che consente l’uso dei trasporti pubblici in tutto il cantone. O ancora il progetto Malama Hawaii («Prendersi cura») ha coinvolto i visitatori in attività ambientali come la pulizia delle spiagge e la posa di alberi, in cambio di sconti fino al 15% sulle camere d’albergo. Hanno partecipato il 5% dei visitatori, per 1400 ore di servizio complessive.
Nella città canadese di Squamish, invece, si distribuiscono gratuitamente sacchetti di plastica rossi per la spazzatura. Chi riporta un sacchetto pieno di rifiuti, propri o altrui, riceve in cambio un caffè, una birra artigianale o un cono gelato presso i locali affiliati all’iniziativa. E dunque la prima lezione sembrerebbe questa: non servono grandi ricompense, un gesto simbolico, unito alla soddisfazione personale, funziona ugualmente.
A Palau – un arcipelago della Micronesia – se dimostri di aver utilizzato creme solari che non danneggiano la barriera corallina ottieni in cambio esperienze particolari, per esempio l’accesso a una piantagione o a una casa di riunione maschile. In questo caso la ricompensa è di natura culturale, immateriale, ma sembra funzionare altrettanto bene, quanto meno con i viaggiatori più consapevoli.
Certo, la vacanza, come il carnevale, è per definizione un tempo di maggiore libertà sino al limite della trasgressione, un momento di sperimentazione, di regole rilassate. Lasciati a sé stessi, i turisti tendono naturalmente a una certa indisciplina; ma se coinvolti e motivati, se diventano parte di una narrazione positiva, adottano comportamenti più attenti. La dimensione del gioco – gamification – funziona molto bene: completare un percorso a tappe o risolvere enigmi può servire per indirizzare i flussi turistici verso attrazioni meno affollate.
Nelle più diverse forme, l’idea di motivare e premiare i turisti resta comunque solo una tappa verso il vero obiettivo, ovvero pensare i turisti come «cittadini temporanei», con precisi diritti e doveri nei confronti della comunità alla quale si uniscono. E quindi gli incentivi hanno senso in circostanze straordinarie e comunque per periodi limitati. Per esempio, se ragioniamo rigorosamente, anche i locali dovrebbero essere incentivati a usare i mezzi pubblici invece dell’auto privata. Oltre il bastone e la carota, c’è un’idea più moderna di turismo.