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Chiasso, capitale mondiale del ciclismo…
Giancarlo Dionisio
Può suonare come una battuta. Chissà come reagirebbero a Sanremo o a Roubaix?
Comunque, nel titolo, c’è un pizzico di verità. Il borgo di confine, da anni, è sede di una delle più importanti agenzie di management in ambito ciclistico: la A&J All Sports, fondata nel 1997 dai fratelli Alex e Johnny Carera.
Al recente Tour de France la loro scuderia ha vinto 12 tappe su 21. Sei, con il fenomenale Tadej Pogačar. Non utilizzo il termine stupefacente poiché, con lui, stupore e meraviglia sono tutt’altro che occasionali, e soprattutto perché la parola riaccenderebbe le fantasie degli haters che hanno invaso il web con una valanga di dubbi, perplessità, accuse, sulle quali torneremo più avanti. A completare il trionfo di A&J sono giunte le tre vittorie di Biniam Girmay, il primo africano nero capace di imporsi in tappe del Giro d’Italia, del Tour de Suisse, e della Grande Boucle, dove ha vestito la maglia verde di vincitore della classifica a punti. Un riconoscimento soffiato al belga Jasper Philipsen, pure trionfatore in tre frazioni e che, guarda caso, è pure un atleta A&J.
Vuoi più bene al papà o alla mamma ? È l’interrogativo che mette in crisi i bambini. Johnny e Alex, bambini non lo sono più da parecchio tempo, ma me li immagino fremere quando, a 70 all’ora, Biniam e Jasper facevano a sportellate per la vittoria: «Siamo un po’ come i loro amici più grandi» confessa Alex. «In teoria, ai nostri atleti dovremmo offrire contratti di prestazione sportiva con i loro Team e con eventuali sponsor privati. In realtà, il più delle volte, ci occupiamo di tutto: assicurazioni, ingaggi a eventi, ricerca della casa, consulenza fiscale e giuridica, questioni relative al passaporto o a permessi di vario genere».
Questo accade poiché, dietro a quella che è a tutti gli effetti un’operazione commerciale, viene costruita una relazione fondata sulla reciproca fiducia. È un percorso che parte da lontano, da quando i nostri otto «scout» vanno a stanare i corridori in ogni angolo del globo per proporre loro il primo contratto. «È un’operazione molto delicata, che affidiamo a persone appartenenti al mondo del ciclismo, ma anche a quello giuridico. È fondamentale che genitori e ragazzi sentano di essere in buone mani».
Recentemente, purtroppo, è subentrata una nuova mansione: il lavoro capillare ed estenuante di dialogo, se necessario anche molto duro, con le migliaia di «odiatori» che invadono i Social Media. Se uno, come nel caso di Pogačar, domina la scena, scattano inevitabilmente le accuse di doping. I signori nessuno si sostituiscono al medico, al fisiologo, al preparatore, per affermare, senza se e senza ma, che simili prestazioni sono oltre il limite umano.
Generalmente le squadre se ne infischiano. A loro preme che i corridori si preparino adeguatamente per ottenere buoni risultati. Alex Carera mi spiega invece che a loro queste malelingue danno molto fastidio, poiché ledono la professionalità di tutto l’ambiente. «Il nostro ufficio legale procede a effettuare degli screenshot e a contattare gli interessati, anche se capita che si tratti di profili falsi. Il più delle volte cancellano i post e presentano le loro scuse. In caso contrario procediamo con le querele».
Peccato che uno dei periodi più scoppiettanti, funambolici, spettacolari della storia del ciclismo, venga infangato dalla cultura del sospetto, figlia di un passato torbido.
Peccato perché, dati alla mano, da parecchi anni, nella rete dell’antidoping sono stati pescati solo pochi pesciolini di terz’ordine. Nessun Big. Il passaporto biologico e la reperibilità obbligatoria dalle 6 alle 22, si sono rivelati un potentissimo deterrente. C’è chi sospetta che nell’ambiente siano diventati più furbi. Sono invece convinto che siano diventati più prudenti, nella consapevolezza che un nuovo scandalo di dimensioni planetarie metterebbe in crisi un sistema che sta riuscendo a far dimenticare quanto di sporco c’era nel suo passato, attirando di conseguenza nuovi sponsor di caratura mondiale.
Se poi emergerà che in realtà questi fenomeni volanti hanno scoperto nuove frontiere dell’inganno capaci di eludere i controlli, saremo i primi a farne ammenda e a occuparci d’altro. Ammesso che ci sia un «altro» privo di scheletri nell’armadio.