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L’ex cabina telefonica di Vrin

/ 29/07/2024
Oliver Scharpf

In cima alla Val Lumnezia, toponimo romancio-colpo di fulmine che significa valle della luce, mi rapisce il digradare dei prati. Di un particolare verde lenitivo, si delineano come delle venature o pieghe, in corrispondenza di ogni cambio di pendenza od orientamento del pendio. In particolar modo, questo andamento prativo s’incide negli occhi alle spalle dell’absidiola esagonale bianco calce dell’umile chiesetta settecentesca di Sogn Giusep – il tetto è a scandole in larice ingrigite dal tempo – che punteggia il paesaggio con la sua magnifica semplicità. Il cartello con su Vrin lo avvisto dopo sei ore e venti di cammino. Passeggiata da una valle (Blenio) all’altra, attraverso tutta la Greina: un mondo a sé meritevole forse quasi di un poema epico-cavalleresco.

Per intanto, lungo la strada che fiancheggia questo villaggio di duecentocinquantaquattro anime, in uno spiazzo dove c’era l’ufficio postale e si ferma ancora la posta, accanto a una stalla, a metà pomeriggio verso la fine di luglio, trovo l’ex cabina telefonica di Vrin (1448 m) risalente al 1997. È tutta in legno, ecco la sua peculiarità. Larice, scoloritissimo per la gran parte, tranne una piccola zona sotto la tettoia, color rossiccio volpe con tratti brunastri. Come i rettangolini intermittenti, all’angolo, che mostrano il punto dove l’asse è stata segata. Trentasei assi per un verso, intramezzate ad altrettante assi per l’altro verso, di lato, ormai color cenere. Rivelando così la tecnica atavica a incastro nota come Strickbau, leitmotiv di tutti gli edifici – mattatoio, camera mortuaria, sala multiuso, fermata della posta, case, stalle – di Gion Antoni Caminada. Architetto-carpentiere classe 1957 – nato a Vrin, partito da Vrin, ritornato a vivere a Vrin – di cui non sono proprio fan ma ha l’enorme pregio del mimetismo. «Quando i visitatori interessati d’architettura arrivano a Vrin da Ilanz, con l’autopostale per esempio, sono spesso stupiti che le costruzioni di Gion Caminada non siano subito visibili» scrive, non per niente, Bettina Schlorhaufer in Cul zuffel e l’aura dado – Gion A. Caminada (2005). E prosegue, proprio nel pezzetto di questa monografia – il cui titolo sono due nomi di venti in vrinerromontsch che influiscono sul paesaggio e sulle persone – dedicato a questa microarchitettura pubblica: «È solo quando l’autopostale svolta nel posteggio che possono vedere il primo dei suoi progetti, la cabina telefonica».

Persa la sua funzione originaria verso il 2015, l’anno della fine per le cabine telefoniche a causa dei telefonini nelle tasche di tutti, oggi, a differenza di molte altre cabine telefoniche dismesse in giro per la Svizzera, non è diventata una bibliocabina. Incastonata accanto a una stalla imbrunita dai secoli, possiede, all’entrata, sospesa su uno zoccolo in beton, una specie di pulpito. Da qui potete osservare per bene i tronchi a incastro della stalla a fianco, ammirare l’orto d’antologia, parlare ai morti nel cimitero. Lì davanti alla chiesa barocca con l’esuberante campanile versicolore con tanto di falso marmo, in contrasto con il resto del villaggio insignito nel 1998 del Premio Wakker – attribuito in onore di Henri-Louis Wakker (1875-1972), banchiere-imprenditore immobiliare ginevrino che almeno ingaggiò l’architetto Maurice Braillard – come Monte Carasso nel 1993 grazie al tocco in beton di Snozzi. Mentre poi si accorda al resto attraverso il tetto, ricoperto di lastre in pietra metamorfica. Come quelle sopra la stiva da morts, camera mortuaria in legno dove l’architettura-strickbau contemporanea di Caminada, senza fronzoli, forse raggiunge l’apice. Posta di sghimbescio rispetto alla chiesa, si orienta verso l’angolo della facciata con la quale è in tinta, visto che è spennellata di bianco caseina. Spira ora un’arietta senza nome; di fronte tonificano la vista i boschi scoscesi di conifere.

Da questo pulpito della cabina da telefon vuota – il cui intreccio basilare, da vicino, adesso mi ricorda quello dello sgabello Ulm (1954) di Max Bill, Hans Gugelot, Paul Hildinger – uno potrebbe anche fare la predica alle galline citando Caminada: «Un villaggio muore se non c’è una comunità». A fianco della strada risalgo con lo sguardo sul declivio di altri prati mesmerizzanti. Dove una merenda con pane e cioccolata, dopotutto, penso sia più che meritata. Pioggerella leggera, mi sdraio esausto, l’arcobaleno.