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Il chill come antidoto all’ansia
Simona Ravizza
«Che belle le vacanze, me la sto chillando!». È impossibile dialogare per più di cinque minuti con uno Gen Z senza imbattersi nella Parola dei figli forse per eccellenza degli ultimi tempi: chill, dall’inglese to chill, ossia rilassarsi, che in italiano diventa «chillare». Il momento migliore dell’anno per farlo è l’estate, ma il termine è usatissimo in qualsiasi contesto. Quando chiediamo a nostro figlio di andare a studiare e lui ci risponde «Chill: il compito in classe è tra due giorni …» vuole dirci di stare tranquilli (che, parafrasando, può anche significare di non rompere). Mentre quando gli domandiamo com’è andato e lui ribatte «Nel chill» sta per «Tranquilli, è andato», e vai poi tu a capire se significa che prenderà almeno la sufficienza o semplicemente che se l’è tolto dalle scatole! È sinonimo di scialla, un invito a prendere le cose con calma, niente stress. «Stai chill» vuol dire stai tranquillo. «Nel chill» con calma. E se ci viene in mente di chiedere che tipo è il nuovo amico, non è difficile sentirsi rispondere: «Un tipo chill», cioè un tipo tranquillo, simpatico.
Quando invece sentite l’adolescente in chiamata chiedere a un’amica: «Oggi vieni a chillare da me?», aspettatevi di ritrovarvi ospiti in casa, perché l’invito tradotto sta per «Oggi vieni a casa mia nel chill?». Ripeterlo, per crederci. La domanda che mi sorge spontanea, infatti, sentendo utilizzare con tale frequenza il termine che pare buono per ogni occasione – ed è stampato anche su magliette e felpe al motto di «stay chill» – è se per gli Gen Z evocare il chill sia una sorta di antidoto alla loro ansia: essere in grado di mantenere la calma e il controllo in situazioni stressanti è una questione di sopravvivenza. Lo evocano, per autoconvincersi che è possibile: scialla! Ai nostri tempi avremmo parlato di un’affermazione fatalista, forse, o anche un po’ menefreghista, perché può anche avere una sfumatura simile a chissenefrega: «Se Dio vuole succede, rilassati».
Di fronte agli Gen Z che sono i nostri figli invece non possiamo liquidare il chill semplicemente come un invito a non scalmanarci troppo. Riflettiamoci insieme! Correva l’anno 2018 quando per descriverli abbiamo utilizzato il claim Generazione Like, quella a cui torna il buonumore se l’influencer di turno a cui è dedicata la fanpage sui social mette il cuoricino sul post, compare il sorriso sul viso quando il proprio account è menzionato nelle storie Instagram degli amici, cresce il compiacimento all’aumentare dei follower, esulta se è nel gruppo WhatsApp giusto per organizzare le uscite ed è soddisfatta se dopo un pomeriggio di tentativi riesce a postare 10 secondi di video.
Adesso, invece, dobbiamo prendere atto che la Generazione Like è diventata la Generazione Ansia: il timore di non riuscire a stare al passo, la paura di fallire e di non esser abbastanza (es. abbastanza magri, belli, popolari ecc.) è evidentemente collegata anche alla metrica dei social con la misurazione costante della popolarità.
Tutto quel che li circonda, troppo spesso genitori compresi, li vorrebbe performanti. Lo psicologo sociale Jonathan Haidt, autore del saggio The Anxious Generation: How the Great Rewiring of Childhood Is Causing an Epidemic of Mental Illness («La generazione ansiosa – Come il grande ricablaggio dell’infanzia sta causando un’epidemia di malattie mentali», uscito il 26 marzo 2024, per ora solo in inglese), è convinto che la combinazione tossica sia l’iperprotezione nel mondo reale da parte di noi genitori diventati troppo iperprotettivi e la sottoprotezione nel mondo virtuale che li rende dipendenti dai colpi di dopamina dei Mi piace, retweet e commenti dei social. «Secondo una varietà di misure e in una varietà di Paesi, i membri della Generazione Z – scrive Haidt – soffrono di ansia, depressione, autolesionismo e disturbi correlati a livelli più alti rispetto a qualsiasi altra generazione per la quale disponiamo di dati». Ecco, davanti a tutto ciò mi viene da pensare che la Generazione Like che si è trasformata in Generazione Ansia stia facendo del chill il suo motto per invitare sé stessi e gli altri a curarsi. Prendendo le distanze, magari inconsciamente, anche e soprattutto dalla necessità di essere sempre performanti. Tanto più in estate!