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Il crowdfunding e le sue implicazioni etico-morali

/ 22/07/2024
Benedicta Froelich

Nel novero delle molte, nuove opportunità che l’avvento di internet e la diffusione dei social network hanno prodotto, un posto di riguardo è riservato alle cosiddette raccolte fondi o, secondo un termine nato con l’era digitale, crowdfunding, ovvero la possibilità di raccogliere denaro destinato a una qualsiasi causa o scopo, potendo però disporre di un’utenza potenzialmente internazionale, a differenza di quanto avveniva con le collette di un tempo.

A tale scopo esistono infatti molteplici piattaforme online, presso le quali chiunque può aprire un account e presentare il progetto per il quale intende richiedere donazioni; il che, oltre a sensibilizzare l’opinione pubblica e raccogliere consensi, permette di promuovere in modo del tutto autonomo una determinata causa. Un’opportunità significativa, soprattutto nel caso di iniziative appoggiate da organizzazioni non governative, che rivestano una forte rilevanza sociale o per le quali gli attivisti coinvolti non abbiano altra possibilità che rivolgersi alla generosità dei privati. E del resto un esempio calzante lo si può trovare nella recente liberazione dal carcere del fondatore di Wikileaks, Julian Assange – la famiglia del quale ha subito avviato un crowdfunding allo scopo di restituire al Governo australiano l’ingente somma spesa per il noleggio del jet privato inviato a prelevare Assange a Londra. Ciò ha permesso ai sostenitori di offrire un contributo personale, avendo la certezza che, per quanto elevata, la somma sarebbe stata infine raggiunta proprio grazie all’unione di molte donazioni, il che illustra perfettamente il punto di forza di questo particolare mezzo di finanziamento.

Tuttavia, ogni nuova possibilità fornita dal mondo digitale – ormai divenuto per certi versi più presente di quello «reale» – sembra comportare anche un rovescio della medaglia. Come spesso accade con quanto gestito interamente attraverso lo schermo di un computer, anche nel caso del crowdfunding non è infatti possibile esercitare nessuna forma di reale controllo: una volta che la raccolta fondi ha avuto fine non c’è modo in cui i donatori possano verificare quale uso viene fatto del loro denaro, visto che il promotore del progetto non ha alcuna responsabilità nei confronti di chiunque abbia elargito un contributo. Vi è poi un’ulteriore problema, legato al fatto che le regolamentazioni per le raccolte fondi variano da una piattaforma all’altra: benché il responsabile debba stabilire fin dall’inizio la cifra che si prefigge di raggiungere (solitamente entro un determinato lasso di tempo, superato il quale il crowdfunding verrà chiuso), alcuni siti permettono di «aggiornare» l’importo desiderato – non solo nel corso della campagna, ma perfino una volta raggiunto l’obiettivo iniziale, in modo da poter accumulare quanto più denaro possibile; il che, nel caso di raccolte fondi dal forte richiamo mediatico, pone più di un quesito etico.

Soprattutto, da quando il crowdfunding si è imposto nell’immaginario collettivo, abbiamo assistito a un nuovo fenomeno: quello di giovani che istituiscono, a titolo del tutto personale, simili collette online per motivazioni spesso effimere, quali la necessità di finanziare un loro exploit artistico o un viaggio all’estero; in sostanza, laddove un tempo simili iniziative sarebbero state riservate a situazioni d’emergenza (ad esempio, per rimediare ai danni provocati da un disastro naturale), oggi qualsiasi gesto necessario a soddisfare un’ambizione personale sembra giustificare un intervento esterno. È come se internet ci avesse resi così pigri e «viziati» da impedire ai nostri millennials di concepire l’idea di dover faticare per un determinato obiettivo, o pagare di tasca propria un qualsiasi sfizio.

Ed ecco che forse la vera ragion d’essere del crowdfunding dovrebbe essere un’altra: quella di rappresentare un aiuto concreto per il raggiungimento di obiettivi che hanno a che fare con la collettività, e non un ennesimo mezzo per esercitare un egocentrismo di stampo tipicamente moderno – il che, in fondo, significa anche impegnarsi per evitarne l’abuso, proprio come si fa con qualsiasi attività online.