azione.ch
 



La Pierre-aux-Dames a Ginevra

/ 15/07/2024
Oliver Scharpf

Un megalite astronomico, scolpito con quattro figure femminili, da tempo vive la sua vita nella corte interna del Musée d’art et d’histoire di Ginevra. I cui scaloni, due gradini per volta, tanto per, scendo una tarda mattina verso la metà di luglio. Chissà quante Parisiennes fumate qui, nella pausa delle lezioni di storia dell’arte, senza mai averci fatto caso a questo masso erratico di micascisto di quattromilacinquecento anni avanti Cristo che ora accarezzo. Testa sulle nuvole, distratto da altro, non avevo mai neanche badato alla pietra di Savonnières, un calcare oolitico della Lorena utilizzato per tutto il museo in stile Beaux-Arts, opera di Marc Camoletti del 1910, il cui colore varia, grossomodo, dal beige al color crema di caffè. Né ricordavo la fontana in mezzo con bimbo e coccodrillo. Approdata qui nella primavera del 1942, la misteriosissima Pierre-aux-Dames – trasportata dal Parc des Bastions su un carro trainato da sette cavalli – è situata sulla ghiaia, a cielo aperto, sul limitare dei portici dove sono collocate altre pietre come un altare con iscrizioni dedicate a Mitra.

Waldemar Deonna (1880-1959), direttore di questo museo per un trentennio, rinnovatore degli studi di archeologia greca con L’archéologie, sa valeur, ses méthodes (1912), fine specialista di antiche credenze e le loro rappresentazioni è l’autore, tra l’altro – oltre al capolavoro postumo Il simbolismo dell’occhio (1965) spicca un libro su una medium che ha raccontato la vita su Marte tra arte e subcosciente – di Pierres sculptées de la vielle Genève (1929) e l’artefice della sua entrata in scena qui: a far parte della collezione di lapidaires. Sul numero ventuno della rivista «Genava» fondata da Deonna stesso, i cui articoli si fregiano della grazia di capolettere figurate come i manoscritti miniati, scrive a proposito del suo trasferimento, per via di «licheni funesti», dal parco – dove era stata piazzata all’ombra degli ippocastani nel 1872 – alla corte del museo. Dove ora arretro, per focalizzare come meglio posso, le sfuggenti figure scolpite che Deonna identifica con un trio di matrone gallo-romane e un adorante. Raffigurate sempre in tre e sempre con qualcosa in mano tipo canestre di frutta o pane – come combacia aguzzando la vista a cogliere le mani giunte in grembo a tenere qualcosa cancellato dal tempo ma poco importa perché così ne specifica il carattere astratto – sono Dee della fertilità terrestre. Il loro ruolo funerario coinciderebbe anche con quello che trovarono sepolto ai piedi del megalite, in origine situato a fianco della strada tra Troinex e Bossey, cinque chilometri circa da qui.

Il primo a parlare di questo megalite di più di tre tonnellate e le sue damigelle cesellate alla bell’e meglio che adesso mi ricordano i volti come velati o in bozzolo di Medardo Rosso, è stato, in esilio da Parigi per un lustro da queste parti, l’erudito-chansonnier Eusèbe Salverte. In Notice sur quelques monuments anciens situés dans les environs de Genève (1819) studia con cura il masso erratico di culto che aveva come compagno un menhir, oggi scomparso, determinandone la sua funzione astronomica: misurare le stagioni. Le quattro figure sarebbero la personificazione delle quattro stagioni. Al contempo, riporta una storia raccolta nelle sue peregrinazioni in zona: le donne scolpite sono quattro donne amanti dello stesso uomo sciupafemmine che le abbandona, una dopo l’altra, e muoiono così di crepacuore. In realtà, anni dopo, gli scavi dell’archeologo cantonale Louis Blondel – il quale approfondirà attraverso delle misurazioni sul campo e calcoli matematici riguardo le linee solstiziali, equinoziali eccetera, la sua appartenenza a un insieme megalitico del culto solare risalente all’età del bronzo – riportano alla luce i resti di quattro donne con crani fracassati.

Rapito da una venatura minerale rossastra sul masso errante suo malgrado, tocco il filone di granato che significa, dicono, coraggio, volontà, purificazione, conquista. In Brasile, a quanto pare, il granato di queste pietre micascistiche, è considerato il sangue della terra e responsabile della fertilità del suolo. Matrone, amanti, quattro stagioni, per la Pierre-aux-Dames (387 m) ci mancavano le fate, ipotizzate da Jean-Daniel Blavignac nel 1847: donne invisibili, potenze meravigliose, nelle loro mani dovrebbe essere di più il nostro destino.