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«Fermo! Stai fermo!»
Bruno Gambarotta
Il 3 gennaio 2024 la televisione italiana ha compiuto 70 anni. L’anniversario ha prodotto una nuova ondata di studi e di rievocazioni. Fra cui Quasi gol, storia sentimentale del calcio in tv, di Giorgio Simonelli, già docente alla Cattolica di Milano di storia della radio e della televisione e naturalmente tifoso accanito. In estrema sintesi la sua tesi è che il calcio in televisione è passato dall’avere un trattamento referenziale e cronachistico a una estrema spettacolarizzazione, fino a diventare una sorta di commedia dell’arte, dove tutti gli attori interpretano un ruolo prestabilito. La mutazione è stata possibile grazie alla straordinaria evoluzione degli strumenti di ripresa. Sarebbe l’ennesima prova che Marshall McLuhan aveva ragione: «Il mezzo è il messaggio», ovvero il vero messaggio che ogni medium trasmette è costituito anche dalla natura dello stesso medium.
Nel corso di una partita ripresa dalla televisione un attaccante tira un calcio nella porta avversaria dando il via a tre possibilità: il goal, la parata, il fuori porta. Tutti e tre i casi danno il via a una esagerata manifestazione di giubilo o di rammarico da parte dei giocatori: capriole, salti, abbracci, corse, ammucchiate, gesti di rabbia e di sconforto. Lo fanno perché sanno di essere ripresi da una telecamera e che quelle immagini torneranno più e più volte nei vari telegiornali. E saranno commentate. Non solo: il regista, prima che la partita abbia inizio, ha cura di far riprendere in vari primi piani i visi di allenatori, arbitri, guardialinee, spettatori famosi per allestire una biblioteca di espressioni (rabbia, gioia, sconcerto, rammarico, eccetera) da spendere al momento opportuno per arricchire le sequenze clou della commedia. Sempre la presenza di strumenti di ripresa influenza il comportamento dei soggetti.
Ho preso parte come cameraman della sede Rai di Torino, alle prime riprese sportive, non solo del calcio. A Sanremo, per i campionati europei di nuoto, il regista mi fece sedere su un trabiccolo a tre ruote che doveva andare avanti e indietro lungo il bordo della piscina seguendo il livello dei nuotatori in testa. La ruota di sinistra passava accanto al canaletto pieno d’acqua che correva lungo il bordo della piscina vera e propria. A pranzo con la squadra di riprese eravamo stati ospiti del circolo che organizzava le gare e il mio carrellista aveva apprezzato il ricco buffet, soprattutto il bianco secco. «Questo vino è una meraviglia, va giù come l’acqua». Sarebbe bastato un lieve scarto perché la ruota di sinistra finisse nel canaletto, ribaltando me e la telecamera addosso a un paio di campioni affiancati. Non che m’importasse poi molto della regolarità della gara quanto del fatto che non so nuotare. Invece di controllare l’inquadratura e il fuoco per tutta la durata della gara ho tenuto d’occhio la ruota pronto a buttarmi dall’altra parte.
Siccome esiste un dio degli ubriachi non successe niente. Per riprendere l’arrivo delle corse su strada si collocavano le telecamere sulla linea del traguardo e in prossimità dell’arrivo; la telecamera più lontana, ovvero la mia, arrivava all’altezza dell’ultima curva per aumentare la lunghezza del tratto di strada battuto dall’obbiettivo. Ho fatto trasferte di tre giorni a Sanremo in occasione della Classicissima per realizzare 40 secondi di riprese andate in onda: giusto il tempo di inquadrare la sfilata dei corridori del gruppo di testa, prima che un mio collega li prendesse in consegna. Per evitare che i tifosi che affollavano l’ultimo tratto della corsa «impallassero» il campo di ripresa e per avere un’inquadratura dall’alto che abbracciasse un campo più ampio, si costruivano con i tubi Innocenti delle torri alte quattro o cinque metri, a sezione quadrata, con un lato da un metro e mezzo, i cosiddetti «trabattelli». Mi dovevo inerpicare fin lassù un bel po’ di tempo prima e puntare lo zoom stretto fino al massimo ingrandimento sull’ultima curva della strada. Si capiva che la corsa stava per giungere al traguardo dal fatto che la torre di tubi incominciava a oscillare paurosamente. Per i tifosi assiepati in prossimità del traguardo quell’osservatorio a portata di mano era una tentazione troppo forte e i vigili che avrebbero dovuto impedire le arrampicate selvagge erano più interessati all’esito della corsa che alla qualità delle mie riprese. Ero sulla tolda di un battello nel mare in tempesta e in cuffia non mi arrivava una frase di conforto ma il grido strozzato del regista: «Fermo! Stai fermo!»