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La triste epoca dei remake
Benedicta Froelich
Se è vero che, un po’ come avviene con i proverbi o le leggende popolari, anche in molti luoghi comuni si può riscontrare un fondo di verità, ciò deve valere, a maggior ragione, in un mondo in costante mutazione quale l’industria dell’intrattenimento. E uno dei luoghi comuni più insistenti di quest’ambito lamenta, ormai da molti anni, la penuria di idee originali che sembra caratterizzare la nostra epoca, come esemplificato dall’impressionante quantità di remake prevalente nell’attuale produzione cinematografica; un’accusa, in effetti, particolarmente difficile da smentire, soprattutto se si esaminano i titoli dei film in uscita nella stagione 2024.
Tuttavia, se per «remake» si intende il rifacimento più o meno fedele di un prodotto già firmato da qualcun altro (anche detto reboot), oggigiorno non mancano nemmeno segnali più sottili a confermare la tendenza della cosiddetta «minestra riscaldata» – ovvero, del riciclo generalizzato delle idee. Agli occhi di un produttore artistico esistono, infatti, anche modi più arguti di riutilizzare materiale già noto, minimizzando così i rischi relativi alla possibile risposta del pubblico: ad esempio, saccheggiare fino allo sfinimento gli spunti offerti da classici della letteratura, archetipi della cultura popolare o semplici tropes, in barba all’evidente rischio di ottenere prodotti «fatti in serie». Del resto, non è un caso se perfino i nerd più invasati faticano ormai a sopportare le trame quantomeno risapute di La Seguace – recente, ennesima serie TV sui cavalieri Jedi propinata dalla Disney (marchio che nel 2012 ha acquistato la LucasFilm e il franchise di Guerre Stellari, e da allora ha prodotto un episodio dietro l’altro di una saga ormai sbiadita).
Di fatto, in quest’annata 2024 i sequel e i tentativi di sfruttamento di idee già collaudate si sprecano, andando dalla nuova versione cinematografica di un caposaldo della letteratura d’avventura quale Il Conte di Montecristo al rifacimento del cult movie Il Corvo, divenuto leggendario a causa della morte sul set di Brandon Lee, nel 1993. E se perfino un classico del cinema muto come Nosferatu viene oggi sottoposto al trattamento remake, la sensazione è quella che si stia davvero raschiando il fondo del barile – soprattutto considerando come la prima riproposizione di questo film (con Klaus Kinski nel ruolo del truce vampiro) risalga al 1979. Purtroppo, nessuna di queste rivisitazioni riesce in alcun modo a competere con il fascino degli originali, come del resto è giusto che sia: una constatazione inevitabile, che di recente ha portato i produttori hollywoodiani ad «aggiustare il tiro», passando addirittura ai vecchi telefilm (un esempio su tutti, l’evitabile Baywatch, del 2017) con la scusa di aggiornarli per il grande schermo.
Non solo: la moda del remake sembra aver contagiato anche un ambito apparentemente meno incline a tali esperimenti come quello discografico, dove, accanto ai consueti album di cosiddette cover versions (nuove interpretazioni di brani classici realizzate dall’artista di turno), è ora emersa una tendenza perlopiù inedita – ovvero, il rifacimento integrale di dischi giovanili da parte degli stessi autori: un modo del tutto autoreferenziale per bypassare l’obbligo implicito di produrre un lavoro inedito, come dimostrato, tra gli altri, dai recenti esperimenti della superstar Taylor Swift, che con la campagna Taylor’s Version (inizialmente motivata da questioni contrattuali) si è dedicata a incidere nuove versioni integrali dei suoi album, dalla prima all’ultima traccia.
Ma infine, che significato ha questa tendenza? Si tratta soltanto di mancanza di idee (o, secondo alcuni, di vera e propria pigrizia), o c’è qualcosa di più? Forse, in un mondo in cui il rapporto con l’originalità è quantomeno ambivalente, non dovremmo sorprenderci troppo della riluttanza ad accettare idee meno convenzionali: in fondo, fino a quando qualsiasi opera ritenuta difficile da classificare verrà liquidata come «troppo complessa», e quindi di scarsa attrattiva per i palati attuali, il richiamo rappresentato dalla possibilità di «andare sul sicuro», riciclando materiale già collaudato e coronato da antichi successi, rimarrà irresistibile.