azione.ch
 



Un ponte verso un turismo migliore?

/ 03/06/2024
Claudio Visentin

Non c’è pace per il povero Ticino. Durante il ponte di Pentecoste l’ultimo frontaliere non era ancora scomparso all’orizzonte che già al Gottardo cominciavano ad affacciarsi i vacanzieri. Presto si è formata una gigantesca coda di auto lunga 22 chilometri (il record di 28 km risale invece al 1999 e al 2018). Naturalmente non erano tutti turisti nostri; molti sono scivolati lungo il cantone verso la più conveniente Italia, ma d’altronde questo è il destino delle terre di passaggio.

I nordici bloccati a migliaia per interminabili ore nel traffico, nonostante ogni tentativo di «partenza intelligente», erano l’immagine stessa della disillusione. Nella sua essenza, scriveva il sociologo tedesco Hans Magnus Enzensberger, il turismo è una fuga dalla città, dal mondo della produzione e del consumo, verso un’immagine romantica della natura incontaminata. Ma presto il viaggio diventa una merce e il nostro spirito di ribellione originario si spegne in una sorta di libertà vigilata, gestita dalla stessa società dalla quale vorremmo fuggire.

E così, muovendo dalle migliori premesse, i nostri ingenui tentativi di evasione creano una situazione perdente per tutti. Nei momenti di massimo affollamento, le destinazioni devono fornire servizi essenziali – energia, acqua, rifiuti – a un gran numero di utenti per un tempo molto limitato. Dal punto di vista organizzativo è un incubo, la negazione di ogni economia di scala.

Anche gli operatori si trovano sotto pressione. Certo, i guadagni sono più elevati ma per un periodo troppo breve e, per fare solo un esempio, non è facile trovare del buon personale se si offrono contratti stagionali. Per questo non da oggi la parola d’ordine è destagionalizzare, con diverse strategie. Si comincia ovviamente con gli sconti, oppure si punta su nuovi mercati, o ancora si differenzia l’offerta: chi d’estate propone la vita di spiaggia, in altre stagioni punterà sul turismo culturale o naturalistico o enogastronomico. Anche eventi sportivi e congressi possono aiutare. Sono tutte strategie ben note, così come è ben nota la difficoltà di passare dalla teoria alla pratica.

Per i turisti non va meglio. Nei giorni di grande affollamento i prezzi salgono alle stelle mentre la qualità dell’esperienza precipita. La sostenibilità ambientale si traduce in una vaga aspirazione, i rapporti con i locali sono sporadici e puramente mercantili, l’autenticità dell’esperienza va perduta.

Cambiare l’offerta tuttavia non basta, se la domanda resta legata alle vecchie abitudini. E potrei cominciare da me stesso. Da diversi anni lavoro per la maggior parte del tempo senza orari d’ufficio; inoltre per noi scrittori e giornalisti free lance anche l’interazione con gli altri si svolge in tempi e forme piuttosto libere. Eppure mi riposo nel week end, quando mi prendo un mercoledì libero mi sento vagamente in colpa e tendo comunque a viaggiare d’estate. È un modello di turismo tradizionale, legato al mondo del Novecento, costruito intorno alla città, alla fabbrica, all’ufficio. In quegli anni tutte le attività restavano aperte o chiudevano simultaneamente, tanto che le ferie prendevano la forma di un rito laico collettivo. Il lavoro e la vacanza erano la celebrazione di una prospettiva e di un destino comuni. Ma quel tempo è passato e oggi, ci insegnano i sociologi, viviamo nella società dell’individualismo, della differenza, del particolare.

Molti di noi lavorano per obiettivi, smart, spesso da remoto. Sulla carta, con un poco di programmazione, potremmo visitare i luoghi più famosi in bassa stagione e restare invece a casa quando tutti partono. Per fare cosa? Le possibilità non mancano, a cominciare da raffinate forme di turismo di prossimità o di staycation (visitare la propria città con gli occhi di un turista). Oppure potremmo dedicarci ai nostri interessi, alla casa, alle relazioni…

Invece alla fine ci lasciamo sempre tentare dalle sirene del viaggio. Forse è una forma di inerzia, di pigrizia mentale. O forse al fondo cerchiamo proprio la compagnia degli altri (anche se poi ce ne lamentiamo) per essere rassicurati, per sentire che siamo nel posto giusto, fosse pure nel cuore di un gigantesco ingorgo, sul ciglio di un’autostrada bloccata dal traffico.