Asperiores, tenetur, blanditiis, quaerat odit ex exercitationem pariatur quibusdam veritatis quisquam laboriosam esse beatae hic perferendis velit deserunt soluta iste repellendus officia in neque veniam debitis placeat quo unde reprehenderit eum facilis vitae. Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipisicing elit. Nihil, reprehenderit!
Amadou era un ragazzo e non una cosa
Melania Mazzucco
Questa è una storia triste. Astenersi cinici e cuori duri. L’ho appresa da altri, la raccolgo come un oggetto smarrito. Perché alla fine il ragazzo che era stato Amadou era diventato una cosa.
Era arrivato come migliaia di altri, dopo un viaggio talmente comune da poter essere riassunto in poche righe – pure se in realtà è durato due anni. La macchina sino alla frontiera interna di un Paese africano della costa atlantica, il camion nel deserto del Sahara, la Libia, il carcere, l’attesa, le percosse, le torture, la barca, il Mediterraneo, la traversata, il terrore, l’euforia dello sbarco. Il trasferimento in terraferma, il centro di accoglienza, la richiesta d’asilo. L’attesa del colloquio con la commissione, il diniego, un altro centro d’accoglienza, la seconda attesa, il nuovo rigetto. La vita randagia di un escluso, le notti in un casolare fatiscente, il lavoro nei campi pagato appena quanto basta per non morire di fame. La stanchezza fisica e morale, l’idea di raggiungere a piedi la Francia. E poi il fermo, ai piedi delle montagne, i documenti senza scampo, la traduzione in un centro permanente per il rimpatrio. CPR: un acronimo che fa paura, e dovrebbe fare vergogna. Una prigione, in effetti. Muri e celle. E ancora attesa: della deportazione al punto di partenza. Ma in realtà il viaggio di Amadou è finito. In Italia non può restare, nel suo Paese non può tornare, perché non ha firmato accordi col nostro. La vita anonima e generica di un numero.
Invece Amadou era una persona. Alto, magro, occhi scintillanti, un esitante sorriso. A qualche operatore aveva raccontato di un padre morto, di una madre con altri tre figli – tutti in attesa di denaro da lui, il più grande e il prescelto per il salto in Europa. Di una casa in periferia: non brutta né bella, ma era la sua. Non veniva da un villaggio con le capanne e il pozzo costruito da una missione o da una Ong, come vuole l’immaginario europeo sugli africani. Aveva frequentato due anni di liceo e parlava francese.
All’avvocato che lo aveva aiutato a presentare domanda d’asilo aveva raccontato anche che sognava di proseguire gli studi e un giorno diventare pure lui avvocato. Ma prima doveva lavorare – un lavoro qualunque, soldi – e poi chissà. Magari sarebbe riuscito a far studiare il fratello. Col tempo era diventato taciturno. I gestori del centro di accoglienza gli pagavano la ricarica del cellulare, perché potesse comunicare con la famiglia. Ma dopo il secondo diniego ne avevano perso le tracce. Al CPR restava tutto il giorno disteso sul letto, senza capire perché si ritrovasse in una cella senza aver commesso un reato. Purgatorio o limbo, ma piuttosto inferno – gremito di disperati. Risse e rivolte quasi ogni giorno. C’era chi si cuciva le labbra, chi aggrediva i poliziotti, chi dava fuoco ai materassi. Amadou mai aveva dato problemi. Attuava uno sciopero invisibile, cui non avrebbe saputo dare un nome. Aveva cessato di vivere. Piangeva.
Il suo allarmante stato di prostrazione mentale era stato segnalato allo psicologo. Amadou chiedeva di uscire, perché stava diventando pazzo. O almeno di essere rimandato a casa. Solo questo, grazie. Sette mesi, tutti uguali. Pianti, insonnia, silenzio. Lo trovano i compagni. Non si muove e non si sveglia. In infermeria, si constata il decesso. L’autopsia è d’obbligo: aveva solo vent’anni. Ha ingoiato la lametta del rasoio da barba, emorragia interna. Nessuno si è accorto del furto, né del gesto. Com’è ingoiare una lametta di quattro centimetri? Con un sorso d’acqua, il tè? Ha lasciato un biglietto in francese. Portate il mio corpo in Africa.
È il desiderio di tutti. Vengono, vanno, a volte restano. Ma il corpo non vogliono lasciarlo in Europa. Nemmeno quelli che ce l’hanno fatta. Alcuni mettono da parte i tremila o cinquemila euro necessari per l’imbarco della bara in aereo. Altri si affidano alle collette dei compatrioti, dei fedeli, anche dei bianchi che – pur dissentendo – li aiutano. Il comune seppellisce la salma in un loculo, a titolo gratuito.
La cosa – il corpo di Amadou – è ancora lì. In attesa di rimpatrio.