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Quando musica e attualità si intrecciano
Benedicta Froelich
Forse non tutti lo ricordano, ma la Svizzera può vantare un legame piuttosto profondo con il celeberrimo Eurovision Song Contest, la cui prima edizione si svolse proprio in Ticino, a Lugano, culminando nell’incoronazione della cantante elvetica Lys Assia: una fortunata concomitanza che, tuttavia, non era destinata a inaugurare una serie di facili successi. Non avveniva infatti da ben 36 anni che un partecipante rossocrociato vincesse l’annuale kermesse canora; e certo in molti hanno esultato quando, l’11 maggio scorso, il cantante Nemo, originario di Biel/Bienne, ha infine riportato la Svizzera alla vittoria nella seguitissima competizione che, dal 1956, incorona a nome dell’EBU (European Broadcasting Unit) la canzone dell’anno (v. anche sullo scorso numero di «Azione» nelle pagine di Società e Territorio nell’articolo di Simona Sala).
Certo, anche in questo caso non sono mancate le polemiche: alcuni hanno infatti sottolineato come, in termini nazionalistici, la vittoria di Nemo non sia poi così «collettiva» come si potrebbe pensare, dato che parte della popolazione svizzera non può riconoscersi del tutto nel personaggio; un’idea senz’altro provocatoria, dato che quello dell’inclusione è da sempre il punto nodale nelle rivendicazioni della comunità non binaria, alla quale il giovane cantante appartiene. Allo stesso modo, essendo quello dell’integrazione delle minoranze LGBTQIA+ uno dei temi «caldi» della nostra attualità, altri hanno insinuato che proprio l’appartenenza identitaria di Nemo possa aver giocato un ruolo nella sua vittoria, offrendo un’opportunità agli organizzatori per dichiarare una volta di più il loro appoggio alla causa. Supposizione che certo deve qualcosa al carattere stesso di una manifestazione come l’Eurovision, la quale, secondo alcuni critici, oggigiorno tende a premiare i brani considerati come più rappresentativi delle tematiche care al pubblico, anziché quelli di maggior qualità – esponendo i giudici a possibili accuse di parzialità legate al contesto internazionale del momento.
Il che ci conduce a considerazioni di più ampio spettro, ovvero: in una società fortemente divisa e frammentata come quella odierna, manifestazioni quali l’Eurovision si limitano ancora all’ambito strettamente musicale? In altre parole, è davvero la musica a costituire il fulcro della kermesse canora, o vi sono altri fattori (culturali, d’immagine, sociopolitici, etc.) che rivestono altrettanta, se non maggiore, importanza? Questa domanda appare legittima non solo alla luce degli attuali sviluppi geopolitici e delicati equilibri internazionali, ma anche in funzione delle peculiarità stesse della manifestazione europea, che ha sempre mantenuto un carattere per molti versi differente rispetto agli altri concorsi canori (incluso il Festival di Sanremo, a cui si era originariamente ispirata). Infatti, in confronto a premi altrettanto celebri, ma dall’accezione più commerciale (Grammy Awards, MTV Europe Music Awards, etc.), l’Eurovision si è sempre distinto per il suo carattere, per così dire, «nazionalista»: il fatto che ogni artista partecipante funga da rappresentante del proprio Paese ha finito per dar vita a un tipo di competizione dall’accezione quasi patriottica – caratteristica aliena ad altri premi, e che ha reso difficile non scorgere, in alcune vittorie delle passate edizioni, la volontà di lanciare un segnale politico rivolto agli stati di provenienza delle formazioni in lizza per la finale.
Al di là di ogni considerazione, tuttavia, una cosa rimane chiara: se è vero che un evento di carattere musicale dovrebbe sempre e comunque porre l’accento sulla qualità della musica stessa, prima ancora che su qualsiasi considerazione di carattere sociopolitico, è altrettanto innegabile come le linee di confine tra arte e politica appaiano spesso sfumate e confuse. Proprio per questo, sarebbe forse utile tenere a mente quale sia il vero, più significativo ruolo della musica nella nostra società: in quanto unico linguaggio completamente universale, essa costituisce infatti uno dei rari rifugi ove le distinzioni nazionali e culturali, così come quelle di genere, credo e razza, cessano di esistere – e proprio per questo, il suo ruolo di mediatrice e forza in grado di unire le persone, anziché dividerle, andrebbe preservato ad ogni costo.