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Se Dalì fosse nato a Torino?
Bruno Gambarotta
Torino è la mia città e lo sarà per sempre. E non cessa di stupirmi. Lo sapevate che Torino ospita la più importante e ricca collezione di opere di Salvador Dalì? Una coppia di medici, Mara e Beppe Albaretto, sono stati grandi amici del pittore dal 1956 fino alla sua morte, nel 1989. Hanno collezionato una serie di opere che ogni tanto vengono esposte. Torino e Salvador Dalì: gli estremi si attraggono. L’artista catalano veniva volentieri in Piemonte, se c’era la prospettiva di pranzare con i tartufi. Surrealista, ma mica scemo: invitato per la sagra della castagna o la festa del cavolo verza faceva rispondere che sarebbe venuto volentieri ma, spiacente, aveva già preso un altro impegno.
Che vita avrebbe vissuto Dalì se, invece di nascere a Figueras, in Spagna, fosse nato a Torino? Un amico, per trovargli un lavoro, gli procurava un colloquio con il capo del personale della Fiat. Lui, invece di presentarsi in camicia e cravatta regimental, arrivava come lo vediamo in un celebre poster, vestito da re, con l’ermellino, la corona, i baffi arricciati e l’occhio spiritato.
Il colloquio non avrebbe neanche avuto inizio: «Si ricordi, caro signor Dalì, che qui a Torino una sola persona può permettersi di farsi vedere in giro conciato così, l’avvocato Agnelli, per festeggiare la vittoria della sua Juventus».
Ma quel testone di Salvador insisteva a dipingere e metteva nei suoi quadri le formiche, gli elefanti con le zampe da ragno. Gli dicevano: «Vuoi fare il pittore invece di lavorare? Va bene, ma almeno dipingi le nostre montagne, il Monviso, che è già un quadro bell’e fatto. Oppure una bella veduta del monte dei Cappuccini, quella si vende sempre bene». Ma lui niente, una testa più dura del marmo che col tempo diventava una macchietta, uno spauracchio per i ragazzi svogliati: guarda cosa diventi se continui a prendere insufficienze a scuola. Finché un bel giorno arriva la notizia che a Barcellona, a Parigi, a New York gli dedicano una grande mostra e lo proclamano un grande artista del nostro tempo. E tutti a dire: io ho capito subito il suo valore.
Tutto sommato è meglio che lui sia nato in Spagna. Eppure fra Dalì e i torinesi ci sono delle affinità. Come il culto per il cibo; i suoi quadri sono pieni di pane, di uova, di aragoste, di pesci, di melograni. Racconta Marisa Vescovo che l’idea per la celebre serie degli «orologi molli» venne a Dalì una sera a cena nel ristorante di una cittadina della Normandia quando gli venne servito del formaggio Camembert estremamente pastoso e colante. Ci vuole già una bella fantasia. È come se io, quando al ristorante chiedo per favore al sommelier di cambiarmi la bottiglia perché quel vino sa di tappo, una volta tornato a casa mi mettessi a dipingere ritratti di nani.
Un’altra felice affinità con il carattere dei torinesi è illustrata dai quadri e dai disegni che hanno come soggetto la Femme aux tiroirs, ovvero «La donna a cassetti». Si tratta di ritratti di donne nude che hanno sul davanti, a partire dal collo, tanti bei cassetti; quello prossimo all’inguine è anche provvisto della sua serratura, non si sa mai, fidarsi è bene ma…Per noi maniaci dell’ordine – ogni cosa al suo posto e ogni posto per ogni cosa – sarebbe già bello se esistessero delle donne a cassetti dove mettere le bollette, i ticket della mutua, le lettere del condominio, le buste paga.
Nella collezione ci sono 47 acquarelli ispirati ai racconti de Le mille e una notte, uno più bello dell’altro. Ammirato da tanta bravura e scatenata fantasia, penso: se Dalì li avesse dipinti indossando un normale doppiopetto grigio sarebbe altrettanto famoso?
Nel 1930 sperimenta un metodo chiamato «paranoico critico»; poi inventerà le unghie dotate di piccoli specchi, gli occhiali con caleidoscopio per non annoiarsi, le scarpe a molla, i costumi da bagno con il reggiseno sulle spalle. Nel 1969, stando alla sua nota biografica, inizia ad attribuire alla stazione ferroviaria di Perpignan un ruolo decisivo nella nascita dell’universo.
Se non avesse fatto e proclamato stranezze per tutta la vita, noi ora ammireremmo i suoi acquerelli esposti in una piccola galleria e diremmo: bravo questo illustratore, com’è già che si chiama? Aveva ragione Dalì, l’artista moderno, per farsi notare ed emergere, deve fare il saltimbanco. Dove posso andare per comprarmi un ermellino e una corona regale di seconda mano?