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La lotta contro il turismo di massa

/ 06/05/2024
Angelo Rossi

Le cronache delle ultime settimane hanno dato molto rilievo alle manifestazioni di protesta contro il turismo di massa nelle isole Canarie, nonché all’introduzione di una tassa di 5 euro che avrebbe lo scopo di ridurre il numero dei visitatori giornalieri di Venezia. Nelle grandi città europee e nelle destinazioni turistiche del Mediterraneo queste dimostrazioni di malanimo contro i turisti sono andate infittendosi nel corso degli ultimi anni. In più d’una meta ambita sembra che autorità e popolazioni locali ne abbiano abbastanza dei turisti. E questo nonostante il turismo rappresenti, nella maggioranza dei casi, il settore più importante delle economie locali. Le proteste contro il turismo di massa non sono, almeno in Europa, un fenomeno isolato. Per arginare il turismo di massa sono già state introdotte – come dimostra anche il caso di Venezia – più di una misura di controllo. Restrizioni d’uso, tasse particolari e divieti stanno diffondendosi un po’ dappertutto laddove, nelle stagioni turistiche, il numero giornaliero dei visitatori sorpassa – e di molto – quello della popolazione residente.

Se Venezia con i suoi 56 mila abitanti e i suoi 30 milioni di ospiti annuali rappresenta, in Europa, il caso estremo, situazioni di intasamento straordinarie si riscontrano oggi in tutti i nuclei storici delle città portuali del Mediterraneo che si trovano sull’itinerario delle crociere. Provate a muovervi nelle strette strade del centro storico di Dubrovnik, Malaga, Barcellona o di Cadice i giorni della settimana in cui arrivano 10 mila crocieristi che hanno solo mezza giornata a disposizione per visitare la città. È un po’ come la biblica invasione delle cavallette. Il turismo di massa si chiama così perché fa muovere moltitudini di persone. A livello mondiale, nel corso degli ultimi settant’anni, i flussi di visitatori si sono moltiplicati per sessanta. Mentre nel 1950 gli arrivi di turisti erano 25 milioni, nel 2019 – prima del colpo di freno della pandemia da Covid – il loro numero era salito a 1 miliardo e mezzo. A intensificare gli effetti negativi del turismo di massa è poi venuta la tendenza marcata alla diminuzione della lunghezza media del soggiorno. Per effetto della stessa, il numero di visitatori delle destinazioni turistiche e i pericoli di intasamento sono aumentati molto più rapidamente del numero dei pernottamenti.

Per fare un esempio: a Lugano, tra il 1912 e oggi, il numero dei pernottamenti in albergo è rimasto costante: si tratta di circa mezzo milione all’anno. In seguito alla drastica riduzione del periodo di soggiorno medio, il numero degli arrivi in strutture alberghiere si è invece moltiplicato per dieci: da circa 30 mila a circa 300 mila. Aggiungete ai clienti degli alberghi quelli delle altre infrastrutture ricettive (case e appartamenti di vacanza, inclusi gli appartamenti Airbnb, in costante aumento, camping, pensioni, ostelli ecc.) e, soprattutto, i flussi del turismo giornaliero e vi accorgerete che gli arrivi di turisti a Lugano durante i sei mesi della stagione turistica sfiorano il milione. L’intasamento che questo aumento passeggero della popolazione di Lugano può provocare non è ancora quello che, quasi giornalmente, si riscontra a Venezia. Ma siamo già a un bel livello. Tuttavia l’ostruzione delle strade – soprattutto delle zone pedonali – non è il solo effetto negativo del turismo di massa nelle destinazioni privilegiate. La popolazione di queste città protesta anche per la sovraoccupazione di ristoranti e negozi, per il rumore che provocano e per le montagne di rifiuti che i turisti, in particolare quelli a giornata, si lasciano dietro.

Inoltre Il turismo di massa e lo sviluppo di nuove forme ricettive come Airbnb fanno lievitare i prezzi dei beni di consumo e, soprattutto, gli affitti e i prezzi delle case senza avere effetti positivi importanti sull’occupazione locale. Per esempio nelle città portuali spagnole gli appartamenti affittati ai turisti stanno a poco a poco espellendo la popolazione autoctona dai centri storici. È vero che lo sviluppo di questa forma ricettiva ha fatto crescere gli investimenti per riattare le abitazioni del centro. Quartiere dopo quartiere, i vecchi palazzi vengono rinnovati. Nello stesso tempo, però, gli affitti e i prezzi salgono rapidamente, obbligando gli inquilini con redditi bassi, i negozianti al minuto e gli artigiani che prima occupavano queste case a lasciare il centro storico. Il piccolo ristorante tipico di prima viene rimpiazzato da una pizzeria. Gli appartamenti sono tutti in regime Airbnb. Queste abitazioni hanno pochi effetti positivi sull’impiego locale perché vengono in generale amministrate da studenti o da lavoratori immigrati.