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Cap, No Cap, cappare

/ 29/04/2024
Simona Ravizza

«Mi piacciono le tue citazioni poetiche (CAP)». Per i miei 50 anni (ahimè!), la mia 15enne Clotilde mi scrive uno dei biglietti più belli della mia vita elencando i motivi per i quali mi vuole bene. Presa dall’emozione inizialmente non faccio caso a quelle tre lettere tra parentesi: CAP. Poi mi casca l’occhio e domando: «Cosa vuol dire?». Lei e il fratello 10enne Enea si mettono a ridere complici. Scopro così che CAP nelle Parole dei figli vuol dire BUGIA! Appreso con delusione che le mie citazioni poetiche le sembrano semplicemente cringe, googlo il termine nel dizionario che traduce dall’inglese all’italiano e mi arriva la conferma di quel che penso: il significato di cap in realtà è berretto. Ma cosa c’entra un berretto con le bugie? Lo slang adolescenziale di solito riporta alla radice di termini inglesi rilanciati poi dalle canzoni rap/trap. In questo caso non trovo agganci. E non li trovo neppure nei significati simbolici che il cappello assume dai tempi dei tempi: per i faraoni egizi il Nemes, cuffia di stoffa a righe nere e oro che avvolge il capo aprendosi lateralmente in due ampie ali per poi ricadere sul petto e sulle spalle, simboleggia la natura divina del faraone, figlio del Dio Sole Ra, venuto sulla terra a proteggere il suo popolo e l’Egitto. Per gli antichi greci il pileo, a forma di cono, indica invece l’appartenenza alle classi più umili. Salto temporale: nell’Ottocento il cappello a cilindro è il nuovo segno dell’eleganza maschile. Mentre negli anni Venti il cappello cloche è in voga tra le flappers, le giovani donne emancipate e disinvolte sia nella sessualità sia nello svolgere attività considerate prettamente maschili come guidare automobili e bere alcool: la cloche è, dunque, il simbolo di un certo disprezzo per il perbenismo e lo stereotipo della brava ragazza.

Ora, in tremila anni di storia può sicuramente sfuggirmi qualche dettaglio, ma io non riesco a trovare nessun riferimento che riconduca in qualche modo alle bugie. E non lo trovo neppure nei modi di dire: attaccare il cappello al chiodo vuol dire accasarsi bene; più semplicemente levarsi il cappello sta a indicare un segno di ossequio davanti a una persona. I dizionari dello slang giovanile sono invece categorici: «Cap vuol dire bugia e può essere usato come riassuntivo di un concetto più ampio, ovvero questa cosa appena detta, scritta o letta è una bugia»; e «No Cap: vuol dire l’esatto opposto. Non è una bugia non stai mentendo». C’è pure una sua declinazione verbale: «cappare». Quando una «sta cappando» vuol dire che sta dicendo una bugia! Ma non finisce qui. Clotilde e i suoi amici usano il termine in continuazione in varie accezioni. Cap può essere utilizzato come una affermazione di circostanza al posto di: «Ma veramente? Sei serio?». Esempio: «Ho preso 5 in matematica!». Commento: «Cap?». In questo caso non è in dubbio la verità, ma è semplicemente un’esclamazione che rimarca la sorpresa per qualcosa.

Può sottolineare, poi, la veridicità di una frase che in prima battuta potrebbe sembrare inverosimile: «Mi è andato stra-bene il compito in classe, no cap!» . Oppure: «In bus c’era uno scalzo con il mandolino, no cap!». E ancora può esprimere incredulità: in risposta a un complimento come «Ti sta benissimo la maglia!», uno risponde «Cap» perché non ci crede e dunque in un certo senso rifiuta l’apprezzamento. Può enfatizzare bugie e verità, dunque, e anche essere utilizzato in modo ironico. Il suo emoticon nelle chat è il cappellino blu. Il titolo di una mostra a Milano di qualche anno fa di giovani artisti era NO CAP a significare la volontà di aprire un confronto e un dialogo intergenerazionale sincero con gli adulti. Fallito il tentativo di comprendere perché gli Gen Z usano proprio cap per indicare una bugia, non mi resta che arrendermi alla frase del Cappellaio Matto di Alice nel Paese delle Meraviglie, uno dei personaggi più iconici della fiaba del 1865 di Lewis Carroll: «Se io avessi un mondo come piace a me, là tutto sarebbe assurdo: niente sarebbe com’è, perché tutto sarebbe come non è, e viceversa! Ciò che è, non sarebbe e ciò che non è, sarebbe…».