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La danzatrice indù di Cendrars

/ 29/04/2024
Melania Mazzucco

La danzatrice d’Oriente spiazzò i recensori: «Sembra strano che il personaggio si metta intempestivamente a danzare». L’alternanza di danza e recitazione fa pensare che anticipasse il musical di Bollywood. Ma Dourga aveva già interpretato un altro film.

Le riprese iniziarono nell’aprile del 1921 – sempre negli studi di Valle Giulia, a Roma. Stavolta però anche il regista era straniero. E circonfuso di un’aura esotica ed enigmatica. Nemmeno Blaise Cendrars era chi diceva di essere (nato Freddy Sauser, era svizzero). Irrequieto poeta viaggiatore e visionario, teorizzava il cinema come la nuova arte del Novecento. Vantava esperienza nel campo, ma era stato unicamente il tuttofare di Abel Gance in J’accuse e La roue. La Rinascimento tuttavia credette alle sue prodigiose menzogne (le sviluppava con tale convinzione che nessuno dubitava dei suoi racconti) e lo ingaggiò come sceneggiatore e regista per La Venere nera. Il film rappresentava l’inizio della sua nuova vita «mancina»: partito volontario nel 1914 con l’esercito francese, Cendrars era stato ferito al fronte nel 1915, e aveva subito l’amputazione della mano destra. La mano dello scrittore.

Le riprese della Venere nera furono un calvario – per la ballerina indiana e per Cendrars (e forse per l’elefante). Nel 1925 lo scrittore le rievocò in un capitolo lirico e allucinato di Une nuit dans la forêt. Ma era un «automitografomane»: scrivendo reinventava la verità. Lasciati moglie e 3 figli piccoli, era venuto a Roma con la compagna, la giovane Raymone, pure lei attrice nel film. Scoprì subito che il nuovo mestiere di regista era fatto di «terribili fatiche e innumerevoli delusioni». Ogni giorno qualcosa andava storto – una scenografia non pronta, mancava l’amperaggio per le scene notturne, i costumi non erano arrivati. Riteneva lo boicottassero perché straniero. Si sfogava scorrazzando in auto con Raymone nella campagna romana. Cenava in trattorie fumose del centro puzzolenti di cipolle, o s’ingozzava di pollo coi peperoni in un ristorante dei Castelli, innaffiandolo con troppo Est-est-est. Ma lo infastidiva anche la trasandatezza italiana, più evidente a Roma, «dove le rovine, come gli uomini, giacciono sbottonate al sole, fanno la siesta nell’erba schifosa, e non riescono, nemmeno nel più augusto dei chiari di luna (più ridicolo e teatrale che grandioso per un uomo abituato ai proiettori degli studi, un milione di lampadine Sunshine) a far dimenticare la miseria che li rode». La razza gli pareva mortalmente attinta, e corrotta dal clima. «Qui tutto cade in polvere, è malato, soccombe».

Unico piacere, Dourga, «la danzatrice indù, mia principale protagonista». Ma anche lei subiva l’Italia. Spesso non poteva girare perché ammalata di una misteriosa malattia che le marmorizzava i seni, le spalle, tutta la parte inferiore del viso, come se una matita di fuoco la scarabocchiasse di marchi lividi, che annerivano l’epidermide per privarla di tutte le sue attrattive: macchie, eritemi, atolli sanguinolenti che né il trucco ingegnoso né le luci riuscivano a cancellare: «Tutto un gioco di piccoli brufoli infuocati che sfigurava il suo profilo orientale». Siccome la defigurazione del volto femminile era una delle idee ossessive di Cendrars, non so quanto il racconto sia credibile. Ma durante la lavorazione Dourga davvero si aggravò. «Povera Dourga! Quanti tesori di civetteria e di costanza ha impiegato per ingannare la malattia», e quanto cattivo sangue gli aveva fatto venire, senza contare il denaro perso per ogni giorno di mancato lavoro.

La Venere nera fu il primo e ultimo film di Cendrars. Perduto, ne sopravvive la sceneggiatura, che lui pubblicò su una rivista, nella primavera del 1922: la banalità della trama delude. Raccontò di averlo distrutto prima di lasciare Roma, ma in realtà avvenne il contrario: nel 1924 Cendrars partì per il Brasile, e poi tornò, per sua fortuna, alla scrittura: Oro fu un successo mondiale. Il film invece il 5 gennaio 1923 ottenne il visto della censura n. 17’222 e uscì nelle sale, deriso dalla critica e disertato dal pubblico. Dourga non lo vide mai. Nel 1922 era riuscita ancora a girare Ragazza venduta di Telemaco Ruggeri (poi Gabbia dorata per superare problemi con la censura). Morì poco dopo. Tragicamente, secondo gli storici del cinema italiano. L’indovina l’aveva spinta a lasciare l’India. Ma non le aveva detto dove la morte l’avrebbe trovata. Dourga aveva solo 24 anni.

(Seconda parte – fine)